La maratona con Silvio tra quiz, bigliettini e tanta folla

Abbiamo cercato di seguire Berlusconi da mattina a sera e ne siamo usciti distrutti. A mezzanotte noi siamo a letto, lui in locale a esaltare la "voglia di fare"

La maratona con Silvio tra quiz, bigliettini e tanta folla

«Facciamo il gioco delle regioni?». Appena salito sull'Airbus privato, 47 posti, posti comodi come divani letti, playstation tv e film incorporati in ogni sedile, Silvio Berlusconi lancia la sfida. «Quanti abitanti ha la Lombardia?». «Nove milioni», risponde al volo Mauro Pili, che ha l’aria del ragazzo studioso che tutte le mamme vorrebbero per la loro figlia. «E la Basilicata?». Silenzio. Momento di imbarazzo. Il «domandatore» sorride, felice come un bimbo della pubblicità. «Vedete? Sono cose che non si tengono mai abbastanza in considerazione. Andiamo avanti». Panico fra gli uditori: adesso non chiederà mica il Molise? Infatti. «E il Molise?». Altro silenzio, ma Berlusconi toglie tutti dall'imbarazzo: «Appena 319mila. Però in Molise io ci sono andato a far campagna elettorale: ho tanti amici lì...».
L'aereo parte. È un volo breve: da Cagliari ad Alghero, poche decine di minuti. Il pilota non fa in tempo a distribuire acqua e Coca Cola che già comincia la fase di discesa. Eppure c'è tempo per inventare il gioco delle regioni, per leggere l'opuscolo sulle elezioni pubblicato dal Sole 24 Ore, per controllare un po' di documenti, per ripassare i dati contenuti in alcuni dossier e per scherzare con il gruppo di candidati sardi imbarcati a bordo. Uno di loro racconta una barzelletta: «Quand'ero piccolo mia mamma non voleva che mangiassi mortadella e allora mi diceva che era carne d'asino. Io non ci credevo. Poi sono arrivato in Parlamento, ho visto Prodi. E ho capito che mia mamma aveva ragione».
Berlusconi ride, la memorizza, si sposta sull'aereo e prova subito a ri-raccontarla. «Assorbe tutto con una facilità impressionante», dicono i suoi collaboratori. Poi decide che è il momento di riposare. Si mette supino, le mani sul petto. Una coperta. Lo guardo un po' sorpreso. «Gli bastano pochi minuti per recuperare energie», mi spiegano. Di recuperare energie ne ha bisogno, d'altra parte: è impressionante quante ne spende durante una normale giornata di campagna elettorale. L'abbiamo seguito, dal mattino alla sera, cercando di rimanere sempre al suo fianco. O meglio: di resistere al suo fianco. Lo confessiamo subito: abbiamo perso la sfida. Leggendo l'articolo capirete il perché.
La giornata del candidato leader del Pdl comincia all'hotel Las Tronas di Alghero. Fuori dalla stanza del premier c'è il sole, dentro qualche nuvola. La lettura dei giornali porta come sempre un po' di amarezza («Repubblica e l'Unità, lo vedete che cosa scrivono?»). Ci si mettono pure le corde vocali che stamattina sembrano non essersi risvegliate del giusto umore: effetto degli ultimi comizi. Salgono gli assistenti. Spremuta d'arancia, pastiglie benagol e pennarello verde per sottolineare i documenti che gli sottopongono. Una battuta, due. Il clima si distende. «Scendiamo?». «Scendiamo».
Nella hall dell'albergo lo aspettano i giornalisti. Microfoni e taccuini. In pochi minuti si spazia dai problemi locali sardi alle grandi questioni internazionali, passando naturalmente per Bossi, le schede elettorali e Veltroni. «Dicono che lei è stanco», chiede qualcuno a Berlusconi. E lui lo sfida con un sorriso: «Vuole fare a braccio di ferro?». Un altro, sentendolo un po' afono, cerca di essere gentile: «Vuole una caramella?». E lui: «Non ho tempo per succhiarla». Risata. La conferenza stampa si chiude con un applauso. «Un applauso?», un cronista locale scuote la testa: «Mai visto...».
Non c'è tempo, però, per farsi troppe domande. Il corteo di auto è già partito. Direzione: l'antica piazza civica di Alghero. «È strapiena», si danno di gomito soddisfatti i candidati locali. In effetti lo spazio storico sembra troppo piccolo per contenere oltre 3mila persone: non male per un lunedì mattina. Le vie laterali sono intasate, la folla preme contro la pasticceria chic e il laboratorio di coralli. Ci sono molti giovani. Berlusconi parla per un'ora e 10, senza fermarsi: improvvisa gag, coinvolge il pubblico, scambia battute con chi lo interrompe. Sembra che il contatto con la gente lo abbia completamente rigenerato. Sembra persino che gli sia tornata la voce.
A un certo punto, durante un applauso, si avvicina a uno dei suoi collaboratori sul retro del palco e chiede «le domande». Panico. Chi ce l'ha? Alla fine uno riesce a trovarle. Sospiro di sollievo collettivo. «Ti dobbiamo una cena», dicono tutti al collega previdente. Le «domande» passano di mano in mano, arrivano all'ex ministro Pisanu che sta sul palco, lui gliele porge e Berlusconi, senza interrompersi, comincia a leggere: «Volete voi essere governati ancora da Prodi?». Coro: no. «Volete voi essere tartassati dal fisco?». Coro: no. «Ora state attenti: volete voi che Veltroni realizzi il suo sogno (attimo di silenzio) e vada in Africa?». Il coro è attento: sì. «Risposta giusta. Vi posso nominare...».
Gli passano un altro biglietto per ricordargli che su quella piazza Carlo V aveva pronunziato il famoso: «Todos caballeros». Ma lui frena un po'. Probabilmente nella sua testa già passano i possibili titoli dei giornali dell'indomani: «Berlusconi si nomina imperatore», «Ecco l'impero di Silvio V», editoriale di Furio Colombo: «Ma chi crede d'essere?». «Non posso nominarvi cavalieri, perché non sono imperatore. Però vi nomino missionari della libertà. Andate e convertiteli tutti».
Dopo un'ora e dieci di comizio il candidato leader del Pdl si butta fra la folla che lo acclama come una rockstar. Mani che si tendono, abbracci, baci, bigliettini che s'infilano nelle tasche manco fosse un santuario votivo. Come base musicale (a tutto volume) la canzone: «Meno male che Silvio c'è». «Vuole quella, non Azzurra Libertà», era stato l'ordine sul retropalco. («Meno male che Silvio c'è? Appena l'ho sentita ho capito che è una frase musicale che rimane in testa. Ho solo modificato un po’ le parole», spiegherà poi Berlusconi sull'aereo).
La folla non se ne vuole andare, Berlusconi si concede a tutti e accumula ancora un po' di ritardo sulla tabella di marcia. Lo aspettano per una passeggiata sui bastioni (meravigliosi) di Alghero. Oddio, passeggiata è una parola grossa: sembra una marcia a tappe forzate. Il candidato del Pdl ammira il paesaggio, commenta, stringe le mani, saluta tutti. Si avvicina una signora: «Qui è morto il mio cane: si chiamava Saudi, uno yorkshire». Berlusconi: «Gliene regalo uno». Lei: «Nessuno sarà più come Saudi». «Allora niente. Ma se ci ripensa, si rivolga al sindaco...».
Poco più in là un gruppo di ragazze, con in mezzo un unico ragazzo. Studenti di un liceo classico-linguistico. Il Cavaliere si ferma, scherza. Una diciassettenne s'improvvisa femminista. «Ma tu lo sai da dove deriva il nome “donna”?». Silenzio. «Da dominus: perché voi comandate. Almeno in casa». «Anche fuori», risponde la ragazza. «Come ti chiami?». «Silvia». «E tu sai da che cosa deriva il nome Silvia?». «Da selva». «Infatti: io sono stato chiamato così perché i miei mi hanno concepito in un boschetto. Indaga un po' con i tuoi genitori...».
Nei bar dei bastioni tanti inglesi. «Welcome», saluta Berlusconi. «Welcome», rispondono loro. «Welcome», ripete a un altro tavolino. Ma di là parte una risposta fulminante: «Siamo di Milano». E va beh. «Sembravano inglesi». La marcia prosegue al ritmo del dottor Tersilli nel famoso film di Alberto Sordi. Nel codazzo si inserisce un giovane che promuove una linea di prodotti per il corpo dal nome «Acqua di Sardegna». «Che bella idea», dice Berlusconi. «Il prodotto non è ancora in commercio», spiega il ragazzo. «Mandane 48 confezioni, con fattura e tutto, a casa mia, a Porto Rotondo, così la regalo ai miei ospiti». «Li vuole da uomo o da donna?». «24 e 24», risponde Berlusconi. Poi ci pensa su, fa due passi e torna indietro. «Anzi, no: considerate le abitudini della casa, faccia 48 da donne e 12 da uomo».
Si riparte, si ricorre. Altro giro, altro hotel. La foto, le strette di mano, l'aperitivo attorno alla piscina. Il pranzo comincia intorno alle 14.30, a base di pesce con tanto di aragosta. Ammessi solo gli alti dirigenti locali, una trentina di persone che si scuotono quando in sala arrivano dei nuovi sondaggi semi-clandestini sulla Sardegna. Qualcuno li trascrive sulla carta del menù e il foglio passa di mano in mano. Berlusconi fa un po’ di foto, si alza dieci volte in meno di mezz'ora, telefona. Prima che servano il dolce è già scappato via. «Mi raccomando, fate sentire sempre “Meno male che Silvio c'è”», si raccomanda. Un breve riposo, poi il corteo riparte, senza sirene, ma suonando i clacson, come se fosse un matrimonio, verso l'aeroporto.
Alghero-Cagliari, si vola. Quando l'aereo arriva sul capoluogo, i dirigenti sardi guardano dal finestrino un po' preoccupati. «Avremo osato troppo?». Il Cavaliere riposa. Loro ci spiegano che il comizio è stato organizzato nella piazza dei centomila, detta così perché prima d'ora qui aveva parlato solo il Papa. Mai un politico. «Riusciremo a riempirla?», si chiedono l'un l'altro. Ma perché avete voluto andare proprio lì? «Perché è accanto alla casa del governatore di Sardegna, Soru», risponde uno di loro. «Abbiamo voluto fare una birichinata».
La birichinata, però, funziona. La piazza è piena. In alcuni passaggi del discorso Berlusconi fa riferimento a Soru e la folla s'entusiasma. «Siamo 15mila, più del doppio di quelli che c'erano per Veltroni», si gasano i candidati locali. Il comizio dura quasi due ore: comincia che c'è il sole, finisce che è buio pesto. Dalla piazza non se ne va nessuno. Anzi. Il Cavaliere improvvisa, scherza, fa salire accanto a lui i ragazzi con le magliette bianche che stanno nelle prime file. Si muove un ragazzo. «Preferirei una ragazza», sorride lui. Si gioca subito la gag di Silvia: «Ho incontrato ad Alghero una giovane che faceva la femminista...».
Ad un certo punto parla delle promesse della sinistra. «Possono promettere quello che vogliono, tanto non governeranno mai», dice. Poi guarda una ragazza davanti a lui: «È come se io ti promettessi: quando ti sposerò ti regalerò un milione di diamanti». Pausa. «Io non posso sposarti, sono già sposato. E vorrei che fosse chiaro, se no Veronica mi manda un'altra cartolina». Dietro al palco i suoi collaboratori sorridono pensando a quei momenti. Discussioni, tensioni. Ma lui s'arrabbia spesso? «Facciamo in modo di evitarlo...».
Il comizio finisce come sempre in una festa che sembra quasi esagerata. Signore in estasi, ragazze ululanti come ad un concerto, compassati signori che improvvisamente diventano disposti a tutto per una foto. Poi le auto ripartono all'improvviso, come sempre, come se il distacco da quell'abbraccio della folla non potesse che essere così, repentino e traumatico, come il taglio di un cordone ombelicale. Si vola verso l'aeroporto. Nel frattempo Berlusconi si collega al telefono con una riunione elettorale in Veneto, oltre un migliaio di partecipanti. L'intervento era previsto per le 20. «Sono le 22, siamo in orario», sorridono quelli dello staff. Aspettando c'è tempo per qualche scherzo. «Sta partendo il volo diretto a Catania, sorvoleremo le Eolie...», dice al microfono un finto steward. Quasi il clima di una gita scolastica.
Si parte. Cena a bordo con pasta fredda, roast beef e verdure grigliate (zucchine e melanzane). Berlusconi si fa portare un po' di formaggi e li spalma sui cracker. Vino bianco, poi un amaro Nonino per concludere («Lo prendo solo quando me lo merito»). Oltre un'ora di intervista, interrotta solo da un breve meeting sugli impegni del giorno dopo. «L'intervista a Sky non era prevista...». Però bisogna farla. «E a che ora mi devo alzare?». La registrazione comincia alle nove. «E poi dove si va?». Savona e poi Vicenza. «A Savona a che ora?».
L'aereo atterra alle 23.30 a Linate. Siamo tutti distrutti. Berlusconi ci guarda: «Adesso bisogna andare alla festa della Gelmini». Mariastella Gelmini, astro nascente della Lombardia, deputato e coordinatore regionale del partito, ha radunato alcune migliaia di giovani in un locale di via Mecenate a Milano. «Non possiamo mancare», dice il Cavaliere, ancora pieno di un'energia che a quell'ora ha dell'incredibile. Lo guardo e, dopo una giornata passando correndo come pazzi, alzo bandiera bianca. «Presidente, io non ce la faccio più», mi congedo. Lui invece va, arriva nel locale di via Mecenate oltre la mezzanotte e parla per oltre 40 minuti filati.

Un discorso pieno di ottimismo e speranza, rivolto soprattutto ai giovani: «Mostrate la vostra voglia di fare», dice. Come se fosse facile. Io, per esempio, di voglia di fare ne ho molta. Ma mentre lui ne parla, dormo, distrutto, già da un pezzo.

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