IL MARE DEI BAMBINI

«Quanto è grande l’Oceano?», mi chiede mia figlia. «Tanto Larisa, è la cosa più grande del mondo». «Come si attraversa?»

Mia figlia è nata in Russia, e ha scoperto il mare a cinque anni e mezzo: non lo aveva mai visto nemmeno in tv, non ne aveva alcuna idea. Siamo arrivati sulla costa ionica di notte, erano i primi di settembre, e lei s’era addormentata. L’indomani la mamma le ha infilato il costumino e siamo scesi in spiaggia. S’è fermata serrando gli occhi al bagliore del sole che si rifletteva sullo specchio del mare, lievemente increspato. Con passo lento ma deciso s’è avvicinata all’acqua, fermandosi sulla battigia. Guardava i piedini che affondavano nella sabbia lambita da onde lievissime, poi alzava gli occhi all’orizzonte sconfinato. Seria e silente, è rimasta immobile per lunghi minuti.
«Quanto è grande?», mi ha infine domandato. «Tanto, Larisa. Il mare è la cosa più grande che ci sia al mondo - le ho risposto -, lo avvolge interamente: anche i continenti in realtà sono enormi isole circondate dal mare. Se vuoi andare in America o in Australia, puoi farlo soltanto con l’aereo o per mare. Navigando puoi girare il mondo, da ogni lato». «Come si attraversa il mare?», ha subito chiesto. «Con barche e navi. Ci sono bastimenti che trasportano merci e navi da crociera per vacanze, battelli più piccoli, pescherecci, motoscafi, barche a vela e yacht di lusso. Anche sottomarini, e batiscafi che scendono negli abissi».
Ha preso subito dimestichezza col mare, dopo pochi giorni sguazzava senza timore. Quando ci fu una burrasca trascorse l’intera mattinata a guardare affascinata i cavalloni che rimbombavano spumeggiando. «Perché fa così?», voleva sapere. «Per ricordarci che è forte e potente, può essere buono ma pure crudele, esige rispetto e attenzione. Col mare puoi giocare, ma non scherzare». Così, tra le poesie che poi ha imparato a scuola, ripete volentieri «San Martino» del Carducci: quando arriva a «urla e biancheggia il mar» sorride ricordando la sua prima burrasca.
Di quel finir d’estate in cui mia figlia scoprì il mare, ho poi dovuto ricordare un altro episodio. Stava giocando e discutendo coi cuginetti, in una baia dov’erano ormeggiati alcuni motoscafi e barche a vela, quando è corsa da me ansimando: «Papà, ma noi siamo ricchi?». «No Lara - le ho spiegato -, a noi non manca nulla e non possiamo lamentarci, stiamo meglio di tante altre famiglie, ma non siamo ricchi. È ricco chi ha un sacco di soldi, case ovunque e macchinoni, chi può permettersi anche la barca». Ed è tornata di corsa a giocare e discutere.
Me ne son dovuto ricordare l’anno dopo, perché tornati a giugno in Calabria le abbiamo comprato un canotto: una roba piccola ma seria, con tanto di remi in legno. Gliel’ho fatto trovare sotto l’ombrellone, già gonfiato, ed è stata una sorpresa. Immaginabile l’esplosione di gioia, l’euforia e l’eccitazione, e poi quel grappolo di ragazzini che con lei s’azzuffavano sul canotto, vogavano da una parte e dall’altra, si rovesciavano in acqua, risalivano e ricadevano. La sera a cena, improvvisamente mi ha fissato: «Papà, siamo diventati ricchi?». «No Larisa, siamo come prima. Perché pensi che siamo diventati ricchi?». «Perché adesso anche noi abbiamo una barca», ha risposto soddisfatta.
Una barca non ho mai potuto permettermela, però un viaggio in mare glielo dovevo. L’occasione s’è presentata presto, quando il giornale mi ha mandato per un servizio sulle «autostrade del mare», un progetto dell’Unione europea parallelo a quello della Tav: se questo deve snellire i trasporti su rotaia, quello mira a sviluppare i collegamenti nel Mediterraneo. Il gruppo napoletano Grimaldi, che in questo progetto ha creduto subito, aveva appena inaugurato una linea di collegamento tra Civitavecchia e Barcellona, con una innovazione che ribaltava l’usuale schema del traghetto e s’annunciava promettente: trasportare auto e tir su una nave da crociera, in modo che per i passeggeri quel tratto di viaggio fosse già una bella vacanza. Così è venuta pure Larisa, ha scoperto Gaudì innamorandosene, e ancor più s’è innamorata dei lussuosi ristoranti di bordo, della sala giochi, della discoteca e della piscina in coperta. Tutta presa, ha voluto partecipare anche alla conferenza stampa. Quando poi mi sono chiuso in cabina per scrivere il pezzo s’è affacciata per sollecitarmi a raggiungerla in piscina e, vedendomi assorto davanti al computer nel tentativo di rendere accattivanti le tonnellate di merci sottratte all’asfalto e gli ettolitri di carburante risparmiato, ha tagliato corto: «Scrivi che è un affare, perché intanto si cancella un sacco di inquinamento e queste navi nuovissime rispettano il mare. E poi non costa nulla sia per chi lavora sia per le famiglie che vanno in vacanza, perché coi soldi che risparmiano di benzina, si pagano la crociera».
Questa delle autostrade del mare le è piaciuta, ogni volta che ci trovavamo imbottigliati nel traffico o in fila ad un casello inevitabilmente mi rimproverava: «Perché non abbiamo preso l’autostrada del mare?». E io, ogni volta: «Perché tra Roma e Firenze non c’è il mare, come non c’è tra Venezia e Milano, pur se Leonardo da Vinci aveva ideato i Navigli». A Barcellona siamo tornati di nuovo, sempre col traghetto/crociera: ora ci sono navi ancor più lussuose su quella linea e bisogna prenotare con mesi di anticipo. Le autostrade del mare hanno cambiato le nostre abitudini e la visione del Mediterraneo. Collegamenti come quello con Barcellona, la Grimaldi cura pure con la Francia e la Tunisia; e da poco ha aperto un’autostrada che collega Venezia e Ancona con la Grecia. Noi una volta eravamo stati in vacanza in Tunisia, con l’aereo. Dopo la scoperta delle autostrade marine abbiamo continuato ad andarci, ma con la nave. Caricare l’auto di ogni bagaglio possibile, anche del canotto che mi aveva trasformato in ricco, sbarcare a Tunisi dopo un giorno e una notte di viaggio riposante, potersi spostare per due settimane a piacimento e poca spesa dal mare al deserto, e infine tornare a casa con una gabbia per uccelli alta due metri, persino due tartarughe riscattate al suk di Hammamet, è un piacere impagabile. «Il mare è meglio», ha deciso Larisa.
Non volevo però, che queste navi da traghetto e crociera rappresentassero per mia figlia l’intero mondo del trasporto marino. Così quest’anno siamo andati a Malta. Ma con una nave da carico, di quelle che ingoiano e vomitano montagne di automezzi, containers e semoventi. È sempre stato il mio sogno, girare il mondo da un porto all’altro cercando passaggi su cargo e navi d’ogni bandiera, mangiare con l’equipaggio, solcare gli oceani in solitudine; e questa per Malta era la prima esperienza anche per me. Temevo che la cabina spartana, la mensa austera, gli spazi ridotti e la condizione di poter far poco oltre a guardare il mare, finissero con l’annoiarla. Pensavo comunque che avrebbe fatto un’esperienza poco ludica, dell’andar per mare. Invece no, è sbarcata soddisfatta come dopo la crociera natalizia sul Nilo.
A nuotare ha imparato presto, d’inverno frequenta i corsi in piscina, e non ho dubbi: anche se ha scoperto il mare tardi, l’acqua è il suo elemento.

Sa della navigazione più dei ragazzini della sua età, riconosce le costellazioni e le stelle, annusa i venti e li interpreta. Quest’anno andrà in quinta elementare, ha sempre detto che da grande vuol fare l’archeologa o il medico dei bambini. Ieri sera però, mi ha sorpreso: «Papà, vicino a casa nostra c’è una scuola nautica?».

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