«Ma la Marinara fatta a Napoli resta inimitabile»

da Napoli
La pizza industriale ha superato nelle vendite la pizza verace napoletana? «Ma mi faccia il piacere», risponderebbe il napoletano doc il principe de Curtis, in arte Totò.
Il raffronto non regge per Antonio Pace, un esperto del settore visto e considerato che una quindicina di anni fa ha fondato (ed è presidente) dell’Associazione pizza verace napoletana.
«È come se ci chiedessimo se nelle nostre strade ci sono più auto o più cavalli in circolazione. Parliamo di due cose completamente diverse», dice Pace, titolare di «Ciro a Santa Brigida», una delle pizzerie più antiche di Napoli piantata nel cuore del centro storico.
Signor Pace, neanche un po’ di preoccupazione per la ascesa della pizza surgelata?
«Assolutamente no. Non ci troviamo dinanzi ad una questione di preferenze tra l’uno o l’altro prodotto. La pizza napoletana è un culto, vuol dire socializzare, fare una scelta di gusto. E poi, è economica; anche quando è cara, mangiare una pizza costa veramente poco».
Allora la pizza verace non soffre di alcuna crisi?
«Esatto. Pur non avendo a mia disposizione una vera e propria statistica sul numero delle pizze che vengono sfornate ogni giorno, posso comunque dire che nei circa cinquecento locali napoletani vengono mediamente tirate dai forni a legna ogni giorno un centinaio tra margherite, marinare e le altre decine di gusti».
Lei ritiene che la qualità della pizza verace sia rimasta sempre la stessa negli ultimi decenni?
«Dobbiamo dividere la storia della pizza in due periodi: quello che va fino agli anni Cinquanta-Sessanta con quello successivo. Fino ad una cinquantina di anni fa c’era un maggiore rispetto verso la cultura della pizza.

Poi è arrivato una sorta di periodo di decadentismo della pizza durante il quale ognuno ha cercato di inventare una propria pizza, esagerando nei condimenti. Ma ritengo che negli ultimi tempi si stia ritornando all’antico rispetto della tradizione napoletana».

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