
È molto atteso a Milano il debutto della pièce «Il fu Mattia Pascal», tratto dal romanzo di Pirandello, nella nuova versione di Marco Tullio Giordana, anche regista, e Geppy Gleijeses, al Teatro Parenti, da domani a domenica.
Rispetto a quella ben nota di Tullio Kezich, regia Luigi Squarzina, protagonista Giorgio Albertazzi, questa riduzione si caratterizza per la sua inquieta teatralità e per avere evitato gli elementi letterari e filosofici che abbondano nel testo. Credo che Geppy si sia ricordato del suo «Liolà», con la regia di Squarzina, sicuramente una «lettura» del testo che occupa, nella storia delle messinscene, un posto importante. Perché ho ricordato «Liolà»? Perché, nella prima parte di questa messinscena, che vede Mattia mettere incinte sia la bella Romilda, interpretata da Roberta Lucca, sia Oliva, della seducente Francesca Iasi, per permettere a Batta Malagna, un perfetto Ciro Capano, di diventare padre, ritroviamo, non tanto il sapore farsesco di Liolà, quanto quello umoristico di Mattia, forme del comico di cui Geppy Gleijeses è maestro.
La riduzione, che è stata pubblicata dall'Editore Manfredi, con le foto di Tommaso Le Pera, ha trovato in Marco Tullio Giordana il regista perfetto per assecondare i tempi della recitazione di Geppy, secondo uno schema che evita, accuratamente, ogni apporto di tipo naturalistico per immergere, gli eventi, anche quelli boccacceschi, in una atmosfera onirico-simbolica. Non per nulla la scena è vuota, mostra soltanto un fondale con due porte, che quando vengono aperte, mostrano una luminosità spettrale, mentre, su strisce di tulle, vengono proiettati i luoghi dell'azione, quelli della Biblioteca, con i suoi scaffali pieni di libri e di polvere, quelli della casa della vedova Pescatore, interpretata da una bravissima Marilù Prati, quella del Casinò e, infine, quella della Pensione romana, dove è andato a vivere Mattia Pascal assumendo il nome di Adriano Meis, avendo scoperto di essere stato trovato morto. Non c'è nulla di fissato, sul palcoscenico, proprio come non c'è nulla di fissato nella vita di Mattia, o meglio, della sua non vita, essendo assoggettata a un flusso continuo che rispecchia quello del tulle su cui si abbattono i cambi di scena, scanditi da forti correnti d'aria, che rispecchiano i luoghi in cui viene a trovarsi Mattia Pascal.
Sin dall'inizio, Marco Tullio Giordana ha voluto una ambientazione alquanto irreale, con i continui cambiamenti di scena, grazie, proprio, alle immagini proiettate, come se si volesse preparare lo spettatore a quel sentimento del trascendente, dell'oltre, immaginato nella seconda parte dello spettacolo, durante le sedute spiritiche e nel corso di indottrinamento teosofico da parte del signor Paleari, interpretato da un ottimo Nicola Di Pinto. Così come la trama del primo atto ha anticipato quella di Liolà, alla stessa maniera, nel secondo atto, vediamo anticipato il Saggio sull'umorismo, apparso quattro anni dopo, perché il rapporto tra vita vissuta e vita immaginata, non solo sottolinea tale sentimento, ma annulla il rischio di un realismo di maniera. Che Geppy evita accuratamente, abbandonandosi a quel linguaggio, un po' cinematografico, voluto da Giordana e che gli permette di vivere, in maniera riflessiva, il problema del doppio che egli evidenzia attraverso una sua particolare ricerca del rapporto tra vita e morte, tra individuo e società, tanto che si diverte, intellettualmente, a entrare e uscire da queste dinamiche, evidenziando i vari stati d'animo, con la consapevolezza che la vita non fosse più segnata dal fato, come al tempo dei greci.
Lo spettatore è messo nelle condizioni di capire la differenza, alla luce del tragico moderno che si esprime nelle forme dell'umorismo, il significato del tragico antico, anche perché in esso si coaugolano i concetti di destino e di identità, quelli di una società in cui non esisti, se non si rispettano le leggi dei vivi.
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