Messa in latino, ritorno al futuro

Da non cattolica attenta a quel che fa Papa Ratzinger sulla scena mondiale e nello spirito dell’Occidente, ho notato alcune sciocchezze dette negli ultimi giorni sul ritorno alla messa in latino, il motu proprio.
La Messa in latino nessuno l'ha mai tolta. Il Concilio Vaticano II non ha mai eliminato la Messa in latino, ma ha permesso che venisse celebrata nelle varie lingue, e così è stato. Con Paolo VI si fecero i nuovi messali, che contenevano le indicazioni del rinnovamento liturgico conciliare, e tra queste c'era anche quello in latino, che lo stesso Papa Giovanni Paolo II ha rinnovato con la «Editio typica» nel 2002. Ciò che non era più permesso usare era invece il messale, il libro con le indicazioni di «rubrica», i gesti, i movimenti, le posizioni, di Pio V. La riforma liturgica aveva infatti sfrondato molte cose, aveva rivolto l'altare al popolo, aveva semplificato alcuni passaggi, anche se sostanzialmente la Messa non cambiava.
Per usare il messale di Pio V era necessario uno speciale indulto della Santa Sede. Perché? Dopo il Concilio, la corrente contraria alle riforme, che riteneva questa svolta della Chiesa un danno, aveva preso come paradigma proprio l'uso del messale di Pio V e della messa secondo il vecchio stile «con le spalle girate», proprio per girare le spalle al Vaticano II. Basti un nome: Mons. Lefebvre. Ciò che dice il documento di Benedetto XVI è che chiunque lo desideri, può usare ancora il messale di Pio V, senza dover chiedere l'indulto della Santa Sede. Tutto qui.
Il documento di Benedetto XVI va dunque letto come un documento «moderno» e non come un'inversione di marcia: basta avere il coraggio di guardare e di conoscere le cose prima di parlarne. Innanzitutto, dopo quaranta anni dal Concilio, la corrente che si schierava e si dichiarava totalmente contraria al Concilio Vaticano II si è ormai spenta: lo spirito della riforma non viene intaccato. L'uso del messale di Pio V, invece di quello di Paolo VI, in questi quaranta anni ha assunto una valenza totalmente diversa: dall'essere gesto simbolico di rifiuto del Concilio Vaticano, all'essere una rivalutazione della tradizione dentro lo spirito del Concilio, affinché la ricchezza del passato non vada persa nella modernizzazione. Questo Papa, da grande e fine teologo quale è, fa fare un passo avanti a tutti, e a un livello profondo. Se la Messa è un mistero, non ci si può perdere in una mentalità pop alla Harry Potter. Non si può dire che con un determinato libro «di formule» è valida, e con le formule vecchie invece l'incantesimo non funziona più. La mentalità «magica» non ha nulla a che vedere con la liturgia. Il mistero della presenza di Dio, per chi ci crede, è una cosa molto più seria.
Questo è un grande passo all'interno della Chiesa, perché chiude uno «scisma» che si era aperto dopo il Concilio: l'arroccamento della tradizione contro lo spirito della riforma. Si rimettono le cose al loro posto, e la modernità e la tradizione tornano a dialogare. Resta solo un piccolo accenno, che sembra puramente di stile, ma in realtà è portatore di una verità profonda. Oggi il pericolo più grosso della Chiesa è esattamente opposto a quello del dopo-Concilio: è la sciatteria mascherata da «rinnovamento conciliare», è la banalità mascherata da modernità. Come ama dirmi un amico sacerdote e intellettuale, perché le chiese «moderne» devono essere così brutte, le chiese antiche così disordinate, e quelli che frequentano la parrocchia devono presentarsi tanto male, così infagottati e dimessi? Perché sacro è tanto spesso sinonimo di sdolcinato, la misura di banalità, l'ordine di rigidità, la semplicità di noia? Perché essere moderni vuol dire essere condannati alla sciatteria? Solo una modernità che stia ben salda sulle sue radici, può guardare in faccia il futuro.

Attenti allora alle sottigliezze che va introducendo il pianista Ratzinger, è molto più moderno di quanto sembri! Forse non lo sarà come immagine, ma lo è come contenuto. Cosa serve di più oggi alla Chiesa che deve sfidare i Mostri, l'immagine o il contenuto?
Maria Giovanna Maglie

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