«Il miglior antidoto contro le alluvioni? I campi coltivati»

I campi coltivati come antidoto alle alluvioni. Effetto barriera, insomma. È il bilancio post-esondazioni dei fiumi lombardi stilato dalla Coldiretti: nelle province di Cremona, Mantova, Pavia, Brescia, Milano e Lodi i terreni agricoli hanno retto all’offensiva delle piogge e in molti casi sono serviti da valvola di sfogo per l’acqua. «Negli ultimi vent’anni sono stati persi quasi 400mila ettari di terreni, il doppio delle province di Milano e di Monza/Brianza messe assieme» riflette la Coldiretti. Appezzamenti via via sepolti da strade, capannoni, industrie e nuovi quartieri residenziali. «Lo sviluppo infrastrutturale crea squilibri - sono certi gli agricoltori - per questo in Italia sette comuni su dieci sono a rischio per frane e alluvioni». Sì perchè appezzamento coltivato significa anche terreno sotto controllo, libero da detriti e quant’altro. «Non è un caso che le ultime frane-alluvioni che hanno danneggiato l’Oltrepò pavese l’estate scorsa abbiano interessato quei terreni abbandonati anni prima dagli agricoltori». I kiwi del mantovano e il mais del lodigiano, inzuppati all’inverosimile, sono serviti da «air bag». In provincia di Pavia ci sono stati smottamenti concentrati in alta collina dove gli agricoltori non sono più presenti. Nella bassa bresciana c’è stata la fuoriuscita del Mella. Terreni a mollo in Valcamonica, vicino a Edolo, con frane e strade interrotte. Smottamenti nella zona di Iseo, a Sale Marasino e in Valsabbia.
A Milano l’allarme alla comunità Exodus di don Mazzi allagata dal Lambro è cessato lunedì notte. «Abbiamo sistemato gli ultimi sacchi di sabbia e già martedì i ragazzi sono tornati a dormire» ha confermato don Mazzi. Le acque del Lambro si erano infiltrate al piano terreno della cascina trecentesca che sorge all’interno del parco. Era intervenuta la Protezione civile con i mezzi idrovori per evitare il peggio, «ma tutt’intorno è rimasto uno strato alto di fango» aveva commentato don Antonio Mazzi. «Ogni volta che piove in modo così torrenziale, puntualmente succede - ha aggiunto - I nostri i impianti elettrici danno le spalle al fiume, gli argini non tengono più e il fondale è un’ammasso di sporcizia e detriti». Il rischio idrogeologico lombardo (e italiano) ha dunque più facce: la cementificazione da un lato, la scarsa manutenzione di argini e fiumi dall’alto. Riflette Roberto Caputo, consigliere provinciale del Pd prima di partecipare alla commissione dedicata al canale scolmatore in Provincia: «Scontiamo anni di carenze, è mancata la difesa del territorio. E in città non c’è solo il Lambro, il Seveso tiene sotto scacco un intero quartiere, attorno al Niguarda». Già il Seveso, coperto sessanta anni fa «per la poca lungimiranza dei progettisti - riflette l’assessore regionale alla Protezione civile Romano La Russa - scorre sotto Milano come i navigli, subendo strozzature e raccogliendo gli scarichi di decine di comuni».

La Regione ha già approvato uno stanziamento di 15 milioni di euro dedicati all’area del Seveso. Un programma idrogeologico di salvaguardia che comprende il completamento del canale scolmatore e una vasca di laminazione a Senago.

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