«Milano città globale, ma ancora troppo cara»

Il vice sindaco De Corato: «Riconosciuti i nostri sforzi e i buoni risultati ottenuti»

«Milano città globale, ma ancora troppo cara»

Arriva l’annuale «Rapporto sulla città» presentato dalla fondazione Ambrosianeum. Ne emerge una Milano globale e cosmopolita, ma sempre più cara. E le polemiche non mancano.
I milanesi possono dormire sonni tranquilli. Dallo studio esce l’immagine di una città competitiva, in crescita e «sempre meno provinciale». Alti livelli di occupazione, fiducia nel lavoro in proprio (lo sceglie il 16,1% degli occupati maschi), un massiccio intervento architettonico (il Teatro Arcimboldi, la nuova Fiera e la ristrutturazione della Scala, per fare qualche nome), un aumento delle aree verdi e un miglioramento dell’arredo urbano con un chiaro intento a recuperare le aree dismesse. Dati alla mano tutto sembrerebbe a regola. «I risultati raggiunti - commenta Eugenio Zucchetti curatore del rapporto presentato da Ambrosianeum - sono positivi: l’hanno resa una metropoli globale e competitiva. Le manca un ultimo passo: mettere insieme questi nuovi flussi per incanalarli nella cura del singolo». Meno individualismi, ecco la proposta. Fra gli interventi di iniziativa pubblica che incidono sulla percezione di una nuova immagine del capoluogo lombardo, la fondazione segnala il concorso Piazze 2001 che ha avuto l’obiettivo di caratterizzare al meglio spazi pubblici aperti come piazza Duca d’Aosta e piazza Fontana.
«Quelli ricordati dallo studio mi sembrano risultati lusinghieri - commenta il vicesindaco Riccardo De Corato -. Sono risultati raggiunti con grandi sforzi che ci spronano a lavorare sempre più e meglio per la nostra città».
Poi, a pioggia, qualche nota cattiva. «Milano sta vivendo una grave crisi economica, ma questa città ha qualche cosa in più rispetto alle altre», premette Marco Garzonio, presidente della Fondazione. Il capoluogo lombardo, si legge sul libro edito da Franco Angeli, «si è molto distinto nella folle corsa verso lo sterile primato del costo della vita». Nello scorso anno si è posto fra le 20 città più care del mondo conquistando il primo posto fra quelle dell’area-euro. È quanto emerge dal rapporto, curato anche da Luigi Campiglio, economista e prorettore dell’Università Cattolica, basandosi su un’indagine condotta dalla Mercer Human Resources su un campione di 144 città nel mondo. «Nel 2001, Milano occupava il 58° posto della graduatoria - spiega il professore - e nel 2004, guadagnando con un sol balzo 45 posizioni, si è collocata al 13° posto». Se da una parte l’inflazione si abbassa, dall’altra si alza il costo della vita. Le cause? «Il costo troppo elevato delle abitazioni influisce sul tenore di vita dei milanesi - continua Campiglio -, ma anche i salari bassi sono un problema di disagio urbano non indifferente». E ancora: l’insufficiente mobilità con le aree contigue dovuta a mezzi di collegamento scarsi e le cosiddette «fasce critiche» non sostenute dagli Enti. Una risposta arriva da Gad Lerner, presente ieri mattina alla conferenza. «Se i prezzi sono alti - spiega il giornalista - è perché la concorrenza è scarsa. La soluzione? Bisogna rischiare di più, investire e buttarsi nel nuovo». Anche Lerner parla di un’identità necessaria e fa un appello alla coesione cittadina.

E, a proposito delle disuguaglianze, arriva l’accenno dolente ai campi nomadi. «Cercare di cancellare le baraccopoli sarebbe come svuotare il mare con un cucchiaino», chiosa il giornalista. Ma niente soluzioni. Nemmeno dal professor Campiglio che abbandona i milanesi alla loro «crisi economica».

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