Buon compleanno Pier Luigi Marzorati e, per festeggiare i 62 anni, si regala la storia della sua vita. Come mai?
«L'occasione sono i 100 anni del Coni. Tutti i grandi dello sport si sono mobilitati e gli autori mi hanno convinto a raccontarmi da sportivo e non».
Ma non è un po' tardi? Lei ha smesso di giocare nel 1991 e i giovani di oggi forse non sanno chi è questo Marzorati che è pur sempre nella Fiba Hall of Fame dal 2007.
«E allora è l'occasione giusta per parlare del basket di un po' di anni fa, uno sport a misura d'uomo, con tanti campioni nostrani e top stranieri che, a differenza di oggi, arrivavano in Italia al vertice della carriera».
Se Mario Boni a 51 anni si considera l'highlander del basket, cosa dovrebbe dire lei che, dopo aver smesso da tre lustri, è tornato in campo nella sua Cantù?
«Il mio ritorno è stato soprattutto un fatto sentimentale. Ho giocato 1' e 48'', ho recuperato una palla persa e sono uscito tra gli applausi di pubblico, compagni e avversari. Ho portato fortuna alla mia amata Pallacanestro Cantù che festeggiava i 70 anni e nella partita d'esordio del campionato ha battuto i campioni d'Italia della Benetton Treviso per 70-69».
E così è anche entrato nel Guinness dei primati...
«Si, sono diventato il più anziano atleta che abbia mai giocato in un torneo di primo livello in Italia e, soprattutto, l'unico ad aver attraversato ben 5 decenni di sport: ho giocato la mia prima partita in A nel 1969 e mi sono ritirato nel 1991. Con questi 108 secondi posso dire di essere stato in campo anche nel primo decennio del secondo millennio. E non è poco».
Così si spiega il titolo del libro: La leggenda dell'ingegnere volante e a lei, laureato in ingegneria civile, piaceva volare in cielo per andare a canestro.
«Mi chiamavano l'ingegnere volante per la rapidità dei contropiedi e adoravo andare in alto per metterla nel cesto».
Momenti entusiasmanti, ma anche i momenti brutti non sono mancati, vero?
«Indimenticabile la medaglia d'argento alle Olimpiadi di Mosca 1980 o l'oro europeo in Francia nel 1983 o la prima coppa Campioni nel 1983 contro il Maccabi a Colonia. La delusione più profonda è stata invece a Montreal 1976 quando nei quarti siamo stati eliminati dalla Jugoslavia dopo essere stati avanti di 15 punti».
Il titolo del libro però continua con al basket per caso, al Coni per scelta visto che dal 26 luglio 2010 è stato eletto Presidente del Comitato Lombardo Coni. Meglio il campo o la scrivania?
«Allo sport agonistico ho dato, mi sono divertito ma la vita continua e adesso è meglio la scrivania. Al Coni ho portato il concetto di squadra, non si vince da soli, ma solo insieme si ottengono risultati. Col mio gruppo abbiamo messo in cantiere tanti progetti, vogliamo far conoscere meglio il Coni e puntiamo alla formazione di dirigenti e tecnici. In campo come play facevo girare la squadra e avevo come riferimenti presidente, allenatore e dirigenti. Ora ascolto gli altri e ci metto del mio per raggiungere gli obiettivi».
Chi ricorda con maggior simpatia quando giocava?
«Recalcati mi ha fatto da chioccia, Meneghin, Riva, Caglieris e Brunamonti avversari in campionato e amici in nazionale, a dimostrazione che l'avversario non è un nemico».
E chi non sopportava?
«Il milanese Francesco Anchise, mamma mia quanto mi era antipatico e tignoso».
Ha smesso a 39 anni, ma perché non ha mai allenato?
«Ero troppo legato a Cantù e un allenatore dopo 3/4 anni non è più sopportato dai giocatori. E poi di grandi allenatori ne ho avuti: Bernardis, Taurisano, Bianchini, Recalcati, Primo, Gamba».
Adesso
però è lei l'allenatore del Coni che guarda a Expo 2015.«È una grande sfida, l'occasione per le federazioni di mettersi in gioco e anche una incredibile vetrina per fare business. E il Coni ci sarà, conprogetti da urlo».
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