Cecchi: «Porto in scena il Pirandello più grande»

L'attore fiorentino al Parenti col suo Enrico IV «Più che un dramma questo è un monumento»

Antonio Bozzo

«Pirandello è insopportabile quando cerca di spiegare tutto, come accade nell'Enrico IV. Che non è un dramma storico, come il titolo farebbe pensare, è il dramma sulla solitudine dell'uomo, costretto a recitare per sopravvivere alla mediocrità dell'ambiente sociale in cui agisce. Ma Pirandello bisogna amarlo, perché pensa all'attore che lo recita, tanto che io lo definisco un monumento di grandattorialità».

Carlo Cecchi parla dello spettacolo - di cui è regista, oltre che interprete - al Franco Parenti dal 17 al 26 novembre, messinscena culmine di questa prima parte di stagione, prodotta da Marche Teatro. Enrico IV è tipo umano che più pirandelliano non si può: un nobile siciliano di inizio '900, del quale mai viene detto il vero nome, cade da cavallo mentre impersona, per gioco, il personaggio storico, imperatore del Sacro Romano Impero dal 1084 al 1105.

La caduta lo rende pazzo, così è se vi pare, e in quella follia resterà volontariamente una volta rinsavito, vent'anni dopo l'incidente. «Ma Enrico non ha alcuna commozione cerebrale. Finge fin dall'inizio, sceglie di vivere in un mondo particolare. Ho utilizzato la follia come una recita della follia, quasi esistesse nel personaggio la vocazione teatrale», dice Cecchi.

Per l'attore e regista fiorentino, questo è il terzo Pirandello, dopo Sei personaggi in cerca d'autore e L'uomo, la bestia e la virtù: sarà «insopportabile», lo scrittore premiato con il Nobel nel 1934, ma per Cecchi è un compagno di strada.

«Come tutti, da ragazzo lo leggevo a scuola. Mi affascinavano le novelle, i testi teatrali li ho scoperti dopo. Grandissimo autore. Oggi di Pirandello non se ne vedono in giro. Ci sono tanti drammaturghi, forse troppi, in Italia. Molti i giovani autori, viviamo una stagione intensa. Ma non facciamo paragoni con l'agrigentino», commenta Cecchi.

Andrà avanti negli adattamenti da Pirandello? Cecchi non si sbilancia, anche se non c'è ragione per credere che smetterà. Enrico IV fu scritto nel 1921, pensando, anzi indirizzandogli lettere per convincerlo della bontà del dramma, all'attore Ruggero Ruggeri, che diventò l'interprete preferito da Pirandello (per capire, come Mastroianni lo era per Fellini).

Fingersi pazzo, sragionare con le parole furiose e taglienti di un raffinato scrutatore d'anime quale fu Pirandello, richiede grandi capacità teatrali: Cecchi le ha tutte, anche di più. «Sono felice di portare il mio Enrico nel teatro di Andrée Ruth Shammah. Mi conosce bene, mi ha diretto nel 'Lavoro di vivere' di Levin, che al Parenti ha avuto grande successo».

In scena con Carlo Cecchi, nove attori, tra i quali un pirandelliano convinto come Roberto Trifirò (anni fa, in un teatrino oggi scomparso, lo Spazio Zazie, lo apprezzammo in Piccinì).

Il finale del dramma, promette Cecchi, sarà una sorpresa, anche per chi ha letto l'originale. E noi, che amiamo i colpi di teatro, ancor più se ci vengono serviti da un mendace imperatore, non vediamo l'ora di scoprirlo.

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