Consegnate solo tre anni fa Le case cadono già a pezzi

Il Comune spese 14 milioni per le residenze di via Ovada Gli inquilini esasperati: «Siamo accampati come zingari»

Consegnate solo tre anni fa Le case cadono già a pezzi

Il complesso è costato al Comune quasi 14 milioni di euro. Sulla carta i 121 appartamenti di edilizia residenziale convenzionata in via Ovada, zona Famagosta, sembravano una soluzione diversa dai soliti alloggi popolari: niente palazzi sgangherati ma costruzioni nuove di zecca, pensate come le vecchie case di ringhiera, in versione moderna. Era l'idea dietro al progetto «Abitare Milano», nato nel 2001 durante l'amministrazione Albertini, passato per quella Moratti prima di arrivare all'attuale di Pisapia. Ma certe cose nascono male e finiscono peggio: i lavori si bloccarono più volte, le case sono state consegnate, alla fine, solo tre anni fa, estate 2011. E a giudicare da come sono già ridotte non pare che l'esecuzione sia stata delle migliori. Intonaci scalcinati, acqua che cola dove non dovrebbe per via di pendenze sbagliate in fase di costruzione, prese elettriche scoperte. «Molte cose si sono deteriorate nel giro di poco, ma ancor più grave è che alcuni elementi erano già rovinati quando siamo arrivati, anche se ci avevano detto che le case erano nuove», sbotta uno degli inquilini, Carmelo Facciponte, mostrando le bruciature sul linoleum che riveste il pavimento di casa.

Ci sono problemi strutturali che mettono a rischio la sicurezza, e altri di incuria quotidiana che aggravano la situazione, perché la manutenzione è inesistente. «Quando siamo entrati qui abbiamo scoperto poco dopo che avevano sbagliato gli allacci elettrici, a ognuno era stato assegnato il contatore dell'altro. Molte prese erano già rotte, le antenne non funzionavano: come se non ci fosse stato mai un collaudo, e abbiamo dovuto risolvere tutto da noi». Nel complesso ci sono persone disabili, ma di scivoli per superare le barriere e arrivare all'ascensore non se ne vedono. Al piano sopra l'appartamento di Facciponte abita una signora in carrozzina, «non riesce nemmeno a lavarsi perché il piatto della doccia è 58 centimetri per 60», racconta lui, mentre mostra il suo, più ampio: «me lo sono fatto cambiare a mie spese». Pochi mesi fa hanno rubato in otto alloggi, una razzia facilitata dal fatto che gli edifici sono in un parco pubblico, giusto alle spalle dell'ospedale San Paolo: chiunque può entrare e uscire. «Ci avevano detto che avrebbero piantato una siepe, almeno per recintare idealmente quest'area, ma l'unica cosa che hanno fatto è quel pezzo lì», dice indicando una fila di rovi incolti. Furti oppure atti di vandalismo: i rivestimenti antiscivolo delle scale divelti, idem per gli interni degli ascensori, le plafoniere nei corridoi in frantumi. «Abbiamo chiesto di mettere delle telecamere, sia contro i ladri sia perché così capiamo chi è che danneggia. Chi rompe deve pagare», continua il signor Carmelo, che ricorda di aver raccolto firme e aver chiamato «tutti, da polizia a carabinieri, dal Comune ai Vigili del fuoco, persino la Procura». Risposte? «Zero.

L'assessore alla Casa Benelli non si è mai degnata di venire a vedere come viviamo: come zingari accampati. Vennero alcuni dello staff della Castellano (l'ex titolare del settore, ndr ) e ci dissero: “Questo complesso o ci mettevamo dentro voi o lo buttavamo giù“ ».

Twitter @giulianadevivo

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