Il Fuori Salone ​anche in via Padova? Sì, ma anche no...

L’obiettivo è nobile (riqualificare e coinvolgere il quartiere), il risultato infelice: in un’ora e dieci, solo una manciata di persone

Il Fuori Salone ​anche in via Padova? Sì, ma anche no...

Il Fuori Salone non ha perso il gusto per la varietà, ma la ricchezza di proposte ha un prezzo da pagare. Non che la partecipazione delle persone abbia deluso le aspettative. Piuttosto, la pecca è stata la macchina organizzativa: molti eventi, non sempre di qualità, e troppe disparità tra il cuore della manifestazione -Brera, Lambrate e il distretto di via Tortona- e le centinaia di attività collaterali. Insomma, tanta varietà ma anche tanta confusione.

In cerca di un filo conduttore abbiamo scelto di seguire il percorso del gusto, certi di trovare quella coerenza che ci sembrava assente altrove. Siamo partiti dall’appuntamento “tè e ciambelle” fra i giardini, allestiti per l’occasione di fronte al Castello Sforzesco. Una tavola imbandita, ragazze in grembiule e un recinto di salvia, timo, maggiorana e altre piante. Buona affluenza e facce contente: prometteva bene.

Tutt’altro scenario in via Padova: parrucchieri etnici, kebabbari, money transfert e compro oro. Chiediamo a passanti e commercianti dove sia il Fuorisalume, un piccolo studio di progettazione adattato a salumeria d’altri tempi. Spallucce ed espressioni smarrite. Un ragazzo italiano, giacca di pelle e occhiali a specchio, si lascia sfuggire un "Il Fuori Salone qui? Non è proprio la zona giusta". Una giovane donna velata, in un ortofrutta afro-asiatico, cerca di aiutarci, ma senza risultati. Facciamo un ultimo tentativo, entriamo in un'agenzia di supporto agli stranieri. Qui un ragazzo magrebino, dall'aria gentile, giura di non averne mai sentito parlare. Sembra un dejà vu: quasi fossimo tornati in via Paolo Sarpi, dove sia i commercianti che i semplici residenti erano all'oscuro delle attrazioni legate al Fuori Salone. Si percepisce uno strano senso di alienazione. Nonostante i tentativi a vuoto, troviamo questo Fuorisalume. È in viuzza laterale, tra un antiquario e una sala da tè: via Cecilio Stazio. Ci facciamo aprire. Un tipo con barba e occhiali ci accoglie, giustificandosi per il ritardo e spiegando com’è nata l’adesione al Fuori Salone. Qualche comunicazione via mail ed ecco l’inserimento nella lista degli eventi.

L’obiettivo è nobile (riqualificare e coinvolgere il quartiere), il risultato infelice: in un’ora e dieci, solo una manciata di persone.

Proviamo in via Vittorio Veneto, a pochi passi da Porta Venezia. Cerchiamo quello che ci hanno descritto come il posto ideale per sperimentare del “sushi nostrano”: il cosiddetto Itasushi. Troviamo un localino alla moda in cui è possibile far seguire al cibo giapponese un Negroni. Il collegamento al Fuori Salone non dura che un giorno, il 16 aprile. L’iniziativa, invece, va avanti da ottobre. Ben prima della Design Week. Concludiamo la giornata così com’era cominciata: all’Expogate di largo Cairoli. Ci aspettano, alle 22:30, un piatto di pasta e una birra, da consumare in compagnia intorno a una lunga tavolata, circondata da sedie di cartone. Piatti che scorrono, una catena di mani, atmosfera conviviale. Breve durata. Ecco il resoconto del nostro cammino nel Fuori Salone “del gusto”.

Un’esperienza che ci ha messi in contatto con realtà molto diverse, dal progetto all’idea improvvisata. Dalla grande alla piccola iniziativa. Il Fuori Salone è tutto questo: un appuntamento in cui ciascuno può trovare quel che cerca. Eccetto l’armonia.

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