"La gente fuori non si immagina quale possa essere la situazione dentro le carceri. Non so se è più la rabbia o la paura. Hanno blindato tutto, hanno tolto le speranze a chi le aveva e ora la situazione è destinata a esplodere. Non dicono la verità neanche sui morti: ufficialmente c'è stato solo un decesso a Bologna, ma io so che il coimputato di un mio amico, arrestato per una operazione della Procura di Brescia, era a Voghera si è ammalato ed è morto".
Sono passate quasi quattro settimane dalla rivolta che ha sconvolto ventidue carceri italiane per le misure contro il Coronavirus. Di quello che sta accadendo tra le mura delle prigioni non si parla più. Ma Franco Mazzei, milanese, pluripregiudicato, un ultimo giro in carcere se lo è fatto proprio nel mese cruciale dell'epidemia. Prima a San Vittore, poi a Cremona, a ridosso della prima zona rossa. Adesso è di nuovo a casa, agli arresti domiciliari. E il suo racconto è tutt'altro che tranquillizzante.
«Mi hanno arrestato il 12 febbraio e portato a San Vittore. Il 21 febbraio alle quattro e mezza mi hanno svegliato: sei partente, vai a Cremona. Lo stesso giorno è scoppiato l'allarme per il primo ammalato a Codogno e hanno sospeso tutti i trasferimenti. Così l'allarme per il virus l'ho vissuto tutto a Cremona, nel carcere nuovo, vicinissimo al primo focolaio». Che realtà ha trovato? «La prima decisione del ministero è stata di bloccare tutti i colloqui con i parenti, tutti i permessi, tutto il lavoro all'esterno. Chi non vive la realtà del carcere, non immagina cosa voglia dire la sparizione dei colloqui. Dentro si vive nell'attesa, tra un colloquio e l'altro. Adesso stop. Hanno alzato da quattro a nove le telefonate, ma che te ne fai della telefonata quando eri abituato a vedere in faccia tua moglie e i tuoi figli?».
La spiegazione ufficiale è che la sospensione dei colloqui è fatta nell'interesse soprattutto dei detenuti, per proteggerli dall'ingresso del virus nel circuito penitenziario. «Lo so. Ma non è che il carcere è diventato improvvisamente un ambiente sterile dove non entra e non esce nessuno. Gli agenti della polizia penitenziaria entrano ed escono tutti i giorni, vanno a casa, vedono gente: quando la mattina entrano in carcere possono essere infetti, né più né meno di un nostro parente. Portano le mascherine, è vero. Allora perché non fare i colloqui con le mascherine?».
I più arrabbiati, racconta Mazzei, sono i detenuti che fino al giorno prima erano stati ammessi al lavoro esterno al carcere, il primo passo verso la libertà e che se lo sono visti revocare di colpo. «Ai semiliberi hanno concesso la detenzione domiciliare, invece loro sono tornati dentro. Risultato: aumento del sovraffollamento in un carcere, come Cremona, già fuori dai limiti. Nella zona vecchia hanno aggiunto una branda per cella, in alcune anche due. Questo non ha fatto altro che aumentare il panico da epidemia. Qual è il risultato? Che la gente sta chiusa in cella per evitare contatti: alle undici del mattino, quando si fa il passeggio all'aria, un sacco di detenuti preferiscono non scendere perché non sai mai chi incontri. Ma tanto se non vai tu va quello della cella accanto che poi ti ritrovi in reparto. Così io al passeggio continuavo ad andarci».
Sull'onda delle rivolte, il ministro ha varato il decreto che prevedeva, per sfollare le carceri, gli arresti domiciliari per i detenuti con un residuo da scontare inferiore all'anno e mezzo. «Sa quanti sono usciti da Cremona grazie al decreto? Zero. Nessuno. Una presa in giro». Colpa dei braccialetti elettronici che non si trovano, «il ministero dice che ce ne sono duecento in tutta Italia»; ma colpa anche, secondo Mazzei, dei giudici di sorveglianza. «Se sei sotto il giudice di Milano sei fortunato, e infatti a me in venti giorni hanno concesso gli arresti domiciliari. Ma chi sta a Cremona è sotto il giudice di Mantova che è uno solo e non sta certo dalla parte dei detenuti. Così gente che aveva diritto ad uscire per la liberazione anticipata è ancora lì da mesi che aspetta che sia fissata l'udienza. In questo caos l'abolizione dei colloqui è stato un taglio totale dal mondo esterno. E la cosa peggiore è che non c'è una data, tutto è bloccato a data da destinarsi.
Come i processi, che la gente aspettava da mesi se non da anni e che vengono rinviati uno o due giorni prima dell'udienza. Sa qual è la realtà? Che dentro la gente sta impazzendo e fuori devono saperlo perché tra un po' scoppia tutto».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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