I milanesi avrebbero impedito lo show

(...) che il marciapiede sotto casa è rotto, che il semaforo è spento, che c'è una buca (una, una sola) per strada. Lo trovano grave, intollerabile. Protestano, si arrabbiano. Scrivono al sindaco, chiamano i giornali. Che rottura, questi milanesi. Così attaccati alla loro città da sacrificare due, tre, quattro ore del loro tempo per ripulire le pareti imbrattate dai no Expo dopo la manifestazione del 1 maggio. Iniziativa che sarà pure stata cavalcata politicamente: ma lo hanno fatto. Questi milanesi così affezionati a certe figure della città da stare una sera intera, al freddo, davanti alla Scala per salutare il loro Claudio Abbado. O in coda, in religioso silenzio, alla camera ardente di Enzo Jannacci. Un simbolo. Lo hanno fatto anche i napoletani con Pino Daniele: solo che quella «carta sporca» a cui è ridotto il capoluogo campano la buttano proprio loro. Con le tante eccezioni, certo. Si generalizza, però rimane che, appunto, «niscuno se n'importa ». E invece a Milano importa. Guardando quell'elicottero la sciùra milanese avrebbe chiamato, preoccupata, i vigili urbani. Il comitato di quartiere avrebbe postato le foto su Facebook. Qualcosa si sarebbe mosso. In poche ore, forse meno. E il giorno dopo i cittadini avrebbero chiesto spiegazioni. Non solo i giornali, i politici di opposizione: tutti. Anche quelli che il primo cittadino lo hanno votato (e che però hanno da ridire se poi taglia i loro alberi, ecco un altro esempio). Il cittadino collettivo , quello che sa di essere parte di un tutto, non avrebbe girato la faccia, timoroso. Non avrebbe alzato le spalle, rassegnato. Quando ne parlo con amici nati e cresciuti qui, li vedo guardarmi tra il perplesso e lo sbigottito. Inconsapevoli. Non concepiscono nulla di diverso, né percepiscono la differenza. Qualcuno obietta: eh, parli come se a Milano la mafia non ci fosse. Ma qua mica c'entrano le infiltrazioni. È ovvio: a Roma c'è il potere, a Milano ci sono i soldi. Qua è una questione di senso civico. È questo che spesso manca al mio Sud - e Roma è sud: la convinzione che quel palazzo, quell'aiuola, quel cestino gettacarte, sono un po' tuoi. Il pubblico non è qualcosa di altro da te. Da sfruttare, depredare nel peggiore dei casi. O di cui infischiarsene. Che tanto succede fuori, mica dentro casa tua. Che fa se fuori c'è la monnezza: sta per strada, al massimo la bruci così non la vedi più. Che fa se la biblioteca comunale è chiusa e i volumi ammuffiscono: a casa mia ho i libri che voglio, con i mobili fighi.

Così la signora di fronte tira a lucido il salotto, tiene la casa come una bomboniera, ma quando spazza sul balcone mica raccoglie la polvere con una paletta: la butta di sotto. In quella strada che è pubblica, e quindi non sua e non tua. Forse un giorno i fatti mi smentiranno e constaterò con amarezza che mi sbaglio. Ma la città la fa prima di tutto chi la abita.

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