Assolto. Perché il fatto non sussiste. Ma in Cassazione e dopo due condanne in primo grado e in appello del tribunale di Milano. Sette anni «nel tritacarne mediatico dell'era Formigoni, durante i quali un'imputazione fantasiosa mi ha costretto alla vergogna». Quella che per le persone per bene e non abituate a reggere il peso anche psicologico dell'illegalità, è la pena aggiuntiva di una giustizia che ha evidentemente nei suoi tempi fuori misura la più somma delle ingiustizie. Una storia come tante, troppe (purtroppo) quella di Luca Ruffino, imprenditore e manager con la passione per la politica che le toghe forse sono riuscite a fargli passare. «Tentativo di finanziamento illecito con recesso attivo», il reato contestato che già nell'intestazione rivela i contorcimenti barocchi di un verbo giuridico che ha evidentemente perso il contatto con la realtà. «È come - racconta lui stesso finalmente con ironia ad assoluzione incassata - se io parcheggiassi di fronte a un pub, uscissi dopo aver bevuto quattro belle birre e sul marciapiede incontrassi un vigile che mi contesta il tentativo di guida in stato di ebbrezza presumendo che io intendessi mettermi al volante».
Nel pedigree la segreteria milanese dell'Udc e il coordinamento regionale del Pdl, Ruffino è tra le altre cose amministratore giudiziario del Tribunale di Milano e ad di Sifitalia, società milanese leader nell'amministrazione di patrimoni immobiliari, oltre a sedere in alcuni tra i più importanti cda di società partecipate nel campo delle infrastrutture e dei servizi, finì nell'inchiesta Aler su presunte irregolarità nella gestione degli appalti che vedeva tra i protagonisti Romano La Russa, all'epoca assessore alla Protezione civile e Sicurezza della Regione Lombardia e il consigliere comunale Marco Osnato. Entrambi assolti. «Ho provato vergogna, un sentimento che annichilisce e trascina in basso. Per rispetto dell'attività degli inquirenti spiega Ruffino - ho soffocato per tutto questo tempo le mie urla di innocenza di fronte a un reato fantasioso, subendo in silenzio minacce e ritorsioni professionali che mi hanno toccato nel profondo». Alla fine il tutto si era risolto nell'accusa di aver versato di tasca propria la bazzecola per un manager come lui di 9.400 euro per i manifesti di una campagna elettorale. «Regolarmente denunciati come partita indeducibile». Una briciola di fronte al fiume di euro finiti nelle parcelle dei super avvocati a cui è stato affidato il fascicolo difensivo, perché di fronte alla possibilità di una condanna che avrebbe distrutto un'attività lavorativa costruita con l'impegno di una vita, nulla è evidentemente stato risparmiato. «Ma - si chiede Ruffino - chi non ha le mie possibilità come si difende di fronte a una giustizia così ingiusta?».
Spiegazioni difficili da trovare nelle lunghe giornate passate in attesa della fine di un incubo. «All'epoca il Pirellone e il governo Formigoni erano investiti da una bufera, dieci consiglieri regionali su 80 sotto inchiesta giudiziaria. Mi sono ritrovato improvvisamente in quel tritacarne mediatico e politico. Indagato e quindi colpevole per i più, il sospetto letto negli occhi delle persone che ti accompagna come un'ombra.
Tutto poi reso vivo sulla rete, dove questi sentimenti si amplificano ed entrano nelle pieghe più scure del disprezzo gratuito che anima gli ambienti social e di chi gode nell'esercizio di spiare dal buco della serratura». E ora? «Rialzo la testa con orgoglio e penso ai problemi strutturali irrisolti del nostro Paese, dove quella della giustizia rimane purtroppo ancora centrale».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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