Invernizzi e gli amici di Bagutta

La Galleria Ponte Rosso punta in alto, tra concerti e mostre sempre a cavallo tra passato e futuro

Invernizzi e gli amici di Bagutta

Dopo i concerti organizzati dalla Galleria Ponte Rosso alla Palazzina Liberty, "Concerto di Milano Classica" ( Vivaldi e Benda), ha presentato con successo la mostra di artisti che hanno rappresentato la laguna veneta come Palazzi, Brambati, Castellani, Consadori, Melo, Zorza, Pastorio, Perelli Cippo, Scarpa Croce, Senigaglia, Spreafico e Vellani Marchi.

La famiglia Consonni, titolare da anni dello storico spazio di Brera, ha fatto due ulteriori passi in più. Ha continuato a lanciare nuovi artisti attraverso il Premio Carlo della Zorza arrivato alla sua ottava edizione e che terminerà con una mostra di 30 artisti finalisti a settembre prossimo. Come se non bastasse, la Ponte Rosso punta in alto anche con due belle mostre: una dedicata a "Vernizzi e gli amici di Bagutta", aperta fino al 7 aprile e sempre in via Brera 2 il 14 aprile alle ore 18 un'altra importante rassegna, "Paolo Paradiso", accompagnata da un catalogo la cui introduzione è a cura di Elena Pontiggia.

"C'è stato un Impressionismo italiano? C'è stato. C'è stato. Anzi se i francesi non avessero avocato a sé quel nome, legandolo per sempre a Monet e compagni...si potrebbe usarlo per i nostri pittori più coinvolgenti. Renato Vernizzi, per esempio", spiega nel catalogo che accompagna la mostra sempre Elena Pontiggia. Le impressioni di Vernizzi impresse sulla tela non sono meno del bel verso di Vivian Lamarque che dice pressapoco: 2Mia figlia ha in corso l'infanzia, come avvertirla?", "..ma tutti noi abbiamo, in corso la vita e non è facile avvertirci, appunto perchè siamo troppo impegnati a vivere. O a soravvivere".

A quanto pari Vernizzi contrariamente ci avverte. La notte, due finestre illuminate, un lampadario appeso a un soffitto che rischiara non solo l'appartamento ma anche il giardino con un cespuglio di rose, un rettangolo colore ocra che respingono il buio. Tutto questo ci fa commuovere e Vernizzi non lo fa con la retorica dei buoni sentimenti ma la sapienza di chi sa usare luci e colori infilandosi nelle pieghe dell'esistenza quotidiana, nei momenti più apparentemente anonimi. Impressioni fatte con tutta la freschezza e la spontaneità, senza la retorica del "plain air", del motivo delle ombre colorate, dei colori puri, delle inquadrature fotografiche. Ma tutto questo a Renato Vernizzi sembra non interessare: il suo tempo è più lento, più meditativo di quello degli Impressionisti francesi, ancora più riflessivo, quasi malinconico, tuttavia l'impressione rimane nei suoi quadri e ne è l'energia vitale.

La parola "impressione" ha a che fare con "premere", quindi qualche cosa che preme dentro, che necessita di essere comunicato.

La mostra di vernizzi non è un caso che inizia con "Giocattoli" del 1942-45, dove vi sono giochi senza giocatori, su unosfondo nebbioso senza un bimbo che se ne curi perchè siamo in tempo di guerra e non c'è tempo per pensare al divertimento. Un cavallo bianco splende e una sciame di scintille punteggia la tela. Le foglie sono accartocciate sotto un albero. La narrazione della luce è sorprendente. Lucertole, pietre, vasi di geranio come le betulle sembrano le zecche dell'albero di Pinocchio.

Negli anni Trenta, l'artista era stato l'amico più caro di Del Bon e aveva diviso con i Chiaristi la riscoperta dell'Impressionismo, ma soprattutto nei suoi modi più ansiosi, stupefatti e nervosi. Aveva capito che ciò che contava non era la pittura dai colori chiari, ma la pittura in quanto tale. Aveva infatti coltivato la stagione Fauve avvicinandosi al gruppo di "Corrente", più espressionista che realista, il colre acceso, la lezione di Picasso, un percorso che allora sembrava obbligatorio. Fu questo il motivo che aveva trovato negli amici del convivio di Bagutta, nota trattoria toscana milanese e folo-veneta tanto amata da Orio Vergani e da Bacchelli, dove si radunavano tutti i pittori, da Semeghini a Novello, da Vellani Marchi a Monti, da Steffenini a Palazzi, da Salietti a Morelli, da Della Zorza a Bucci.

Quello di Vernizzi è stato un percorso solitario e confortato da amici e critici perchè ha saputo dipingere quello che tutti avevano sotto gli occhi ma che nessuno sembrava vedere. Questa forse è stata la sua forza. Bellismo il pastello "Maria Teresa e Isabella in salotto" del 1953 e "Luca e il cesto d'uva" del 1945, "Cavallo bianco" del 1944, "Il cacciatore", un olio su tela del 1946, ma anche le opere della maturità come "Autoritratto allo specchio con Isabella" del 1954, "Luca sul divano" del 1957, "Notturno dallo studio" del 1969, "Nudino" del 1966. Non mancano di lode le tele "Due betulle" del 1971 e "In giardino" del 1969.

L'artista parmense (classe 1904) aveva come padre un decoratore e l'amico del nonno era Icilio Bianchi che fu il suo primo maestro. Dopo avere terminato l'Accademia si trasferisce a Milano negli anni Trenta e si unisce al gruppo dei chiaristi. Partecipa alle Biennali di Venezia, alle Triennali di Roma e vince il Premio Bergamo nel 1941. Rilegge il cinquecento Veneto e spagnolo. Arturo Toscanini posò più volte per lo stesso artista che ne aveva ammirazione.

Titolare della Cattedra di Figura all'Istituto d'Arte di

Parma, continua a vivere a Milano dove muore il 18 gennaio 1972. Numerose le pubblicazioni su Vernizzi. Maria Vellani Marchi lo ritrae simpaticamente al Ristorante Bagutta (Montenapoleone) nel 1964 in tutta la sua statura...

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