L'occhio sul 900 di Andreis il Cartier Bresson italiano

Ritorno all’ovile, San Donato (GR) 1933
Ritorno all’ovile, San Donato (GR) 1933

L'occhio del Novecento. Felice Andreis, 106 anni appena compiuti, ha attraversato il Ventesimo secolo continuando a usare la sua macchina fotografica meccanica e stampando negativi e immagini ancora in laboratorio con la sua camera oscura. È considerato il Cartier Bresson italiano e non poche sono le affinità con Lartigue; si può paragonare a un Cecil Beaton e per le nature morte e i personaggi a Mapplethorpe. Per quanto riguarda le immagini di città esiste qualche richiamo a Bresson e a Kertesz. A tu per tu con Andreis, si capisce come la sua vita e la arte abbiano intrecciato la storia d'Italia: paesaggi e personaggi, mode e miti, manie e consuetudini, in pratica l'album fotografico che racconta ciò che siamo stati e ciò che siamo diventati. Ma Andreis non si è fermato: ha spaziato lungo le coste africane e nel cuore dell'Europa. «Avevo poco più di otto anni quando mio padre mi regalò una Kodak, una semplice fotocamera che non ho mai smesso di usare, sono passato dalle lastre esposte al sole fino alle immagini digitali e alle stampe al computer, con le quali mi sono divertito fino a poco tempo fa, ma la Leica o altre macchine meccaniche non le ho mai abbandonate, non c'è paragone» racconta Andreis con l'entusiamo di un ragazzo di 106 anni. Sua moglie che vive con lui in Maremma ne ha 98 e con lui sfoglia un album di famiglia dorato, dove si trovano amici e luoghi visitati insieme. Le sue immagini non sono mai rubate o imposte, ha solo cercato di esplorare il bello nelle cose e nelle persone. Tra le tante foto, oltre a quelle di viaggio anche quelle di architettura, i bei ritratti. Bianchi e nero con scene di mare tra spiaggia, sabbie, vento e barche, dai costumi e dai maglioni che raccontano un'epoca. Così come rappresentavano un'epoca un semplice vaso a fianco di una colonna con un cactus sullo sfondo marino di Santa Liberata, ma anche pastori italiani e gente semplice e povera del continente nero.
Una mostra alla Provincia di Corso Monforte curata dall'assessorato alla Cultura gli rende omaggio fino al 29 aprile. Quando è a Milano Andreis alloggia dal nipote Roberto Petz, anche lui sulle orme del nonno, amante della fotografia nonostante si occupi di finanza. Le fotografie del silenzio, quelle in particolar modo delle montagne innevate, dove fotografa oltre a cime e ghiacciai anche castelli in aria, riportano a un famoso dipinto di Gaspar David Friedrich del 1818. Quell'immagine ha ispirato anche Andreis che ha scattato un'immagine simile, dove il ghiaccio e il cielo con le sue nubi, sembrano unirsi alla solitudine dell'uomo.

Di lui hanno scritto da Piero Citati, a Vania Colasanta fino a Carlo Bonazza. Il pregio e l'acutezza della resa fotografica sta non solo nella tecnica ma anche nell'amore, nella cultura e nella poesia della sua lunga e felice vita

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