Occupazioni e sporcizia Lambrate oltre i binari è una terra di nessuno

Si tenta un difficile rilancio che riesce solo in parte Al di là della ferrovia restano le discariche fai da te

A Lambrate la primavera sboccia sempre 15 giorni dopo. A metà aprile, con il Fuori Salone. Ma nel resto dell'anno, quando il più grande evento del design milanese non c'è, il quartiere vive in bilico tra la gentrificazione in corso e la periferia decadente.

Equilibrio precario tra due identità, che convivono ma ancora non si mescolano, il cui confine tangibile è la ferrovia: più ti avvicini ai binari, più il degrado aumenta, e una volta superati questi si deraglia verso l'abbandono. In via Valvassori Peroni le palazzine del Comune restano occupate da ormai tre anni; ai piedi degli alberi di via Pacini, che porta dritto alla stazione dei treni e del metrò, ci sono bottiglie di birra rotte, lattine, sacchetti dell'immondizia accatastati accanto ai cestini pubblici. La domenica mattina conserva i postumi dei bagordi del sabato, ma non è solo questo: in piazza Bottini la sporcizia accumulata sotto le transenne racconta di interventi di sistemazione trascinati da troppo tempo.

Al di là del ponte si entra nel cuore vecchio. Lo rivela anche la toponomastica: via Lambrate di qua, viale delle Rimembranze di Lambrate di là. L'ex paesino celebra anche la «festa di Lambrate», alla sua identità ci tiene, e da un po' questo piccolo mondo antico l'hanno scoperto anche i milanesi «del centro», da quando la balera dell'Ortica è diventata un passaggio obbligato della movida estiva. Qui vivono i figli dei figli dei fiori, col pulmino con le tendine pronto per la gita della domenica, e gli artisti emergenti che mal tollerano il salotto radical chic di Brera e i nuovi ricchi di via Tortona: vogliono essere pittori in stile Pigalle parigino, non designer rampanti. «Qua si sta bene perché è una Milano moderna ma non frenetica», dicono. Eppure chi vive qui da una vita denuncia che in mezzo ai nuovi edifici di vetro e linee minimal, spuntati negli ultimi anni per ospitare uffici di grandi società, ci sono ancora tanti punti critici. In via Sbodio, per esempio, i palazzi disabitati sono ridotti a discariche a cielo aperto: materassi, lamiere, pezzi di mobili s'intravedono al di là dei cancelli. C'è una grande villa abbandonata, quasi tutta ricoperta da una pianta rampicante, sarebbe anche molto bella ma il cartello «Vendesi» è appeso lì da chissà quanto: tra la crisi e il campo rom di via Rubattino a pochi passi non dev'essere facile convincere qualcuno a comprare. Proseguendo dritto lungo via Pitteri ci si addentra nella periferia piena: strade vuote, un po' dissestate, e il lo scatolone marrone dell'Esselunga di via Rubattino. Subito alle sue spalle quel che resta di vecchie panchine in pietra, staccate dal pavimento, poggiate in un angolo assieme a bottiglie di plastica e scarpe vecchie buttate lì. A sinistra l'ex mensa della Maserati, un altro casermone nel nulla, contornato da erba incolta, coperto di scritte, «occupato da chi capita», dicono gli abitanti.

Non se la passa meglio l'ex struttura scolastica di fronte, che fino a tre anni fa ospitava una sede del liceo linguistico Manzoni: l'ingresso ora è pieno di buche, le erbacce coprono le scale e arrivano fino alla porta principale. Quaggiù la nuova Lambrate deve ancora arrivare.

Twitter @giulianadevivo

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