Il terrore dei passeggeri e la fuga dai finestrini: "Rumore, poi l’inferno"

Tre vittime e 100 feriti per il cedimento della rotaia. Tra i sopravvissuti del regionale deragliato

Il terrore dei passeggeri e la fuga dai finestrini: "Rumore, poi l’inferno"

Lo choc, il sollievo, la rabbia. «Sono vivo per miracolo», dice Gennaro, che lavora all'Università Statale. «I treni fanno schifo», dice Francesco. «Abbiamo visto la morte in faccia», dice Sergio. Sono i sopravvissuti del regionale 10452, i passeggeri che ieri a bordo del Cremona-Milano hanno vissuto sulla loro pelle il deragliamento e lo schianto a Pioltello. Quasi tutti pendolari: molti lombardi, ma anche tanti stranieri. Chi ha potuto, subito dopo l'incidente, ha chiamato le famiglie per avvisarle e per tranquillizzarle. Ma per altre famiglie, che avevano appreso la notizia dai siti e dai telegiornali ma non ricevevano segnali dai loro cari, è iniziata un'attesa angosciante. A tre di loro, quelle di Pierangela Tadini, Giuseppina Pirri, e Ida Maddalena Milanesi, è arrivato l'annuncio più tragico. I loro corpi sono stati riconosciuti dai parenti. Beatrice Bolandrini, sindaco di Brignano Gera d'Adda, è salva per caso: anzi, grazie al degrado dei treni delle Nord. Stava per salire sulla terza carrozza, quella investita in pieno dall'incidente: «Ma ho visto che le luci non funzionavano, allora ho temuto che non andasse neanche il riscaldamento. Così sono salita sul primo vagone, e l’unica cosa che ho sentito è stato il botto del treno che fermava di colpo: solo quando sono scesa mi sono resa conto di cosa era successo dietro di noi».

«Abbiamo sentito dei rumori sotto di noi - racconta Emanuela Zampieri - e il primo pensiero è stato “qualche ragazzo stupido ha messo qualcosa sui binari". Invece il treno ha iniziato a sbandare, superata la stazione di Pioltello ci siamo girati e abbiamo visto le scintille, qualcuno ha urlato che stavamo colpendo i pali della luce, e abbiamo iniziato a sbattere da tutte le parti. E i finestrini hanno cominciato a rompersi». E Gennaro, che viaggiava sull’ultima carrozza: «Sembrava che qualcuno lanciasse sassi contro i finestrini, e a un certo punto abbiamo sentito odore di bruciato: poi non si è capito più niente. Mi sono spaventato di brutto, ma a parte qualche botta non mi sono fatto male. Sono uscito da un finestrino, c’era gente a terra che chiedeva aiuto, abbiamo iniziato a darci da fare. Ma per quelli intrappolati sul vagone non potevamo fare niente». Nel grande prato a ridosso della ferrovia trasformato in ospedale da campo, un ragazzo egiziano in barella racconta: «Ho sentito tac- tac-tac, un odore di bruciato, poi il rumore del treno che sbatteva contro i pali. Il vetro si è rotto e mi è piombato qualcosa addosso. La gente urlava, non potevo muovermi. I soccorsi non arrivavano mai, un mio amico mi ha fatto uscire da un finestrino».

Sul tempo di arrivo dei soccorsi in realtà le versioni divergono: chi parla di quindici minuti, chi di trenta, chi addirittura di tre quarti d’ora. Ma è facile immaginare come la percezione del tempo si modifichi, nel buio e nel dolore che regnava sui binari. Il racconto dell’incidente è invece quasi identico in tutte le testimonianze, soprattutto nel dettaglio più impressionante: la durata interminabile del deragliamento, i due minuti col treno che viaggiava impazzito prima dello schianto contro i piloni della luce. «Sembrava che non finissero mai - dice Sergio - io ero in piedi, perché come al solito non avevo trovato posto, e ho pensato di rannicchiarmi per attutire i colpi, non vedevo l’ora che si fermasse». E Francesco: «Ho cercato di aggrapparmi alle paratie per non finire a terra, c’era chi scappava a destra e a sinistra. Quando il treno si è fermato sono uscito anch’io, come altri, dai finestrini: e solo allora mi sono reso conto della gravità dell’accaduto».

E nel caos, c’è persino chi teme di avere perso amici che invece sono sopravvissuti: «Siamo un gruppo di operai edili, andiamo tutti insieme ogni mattina a lavorare a Porta Genova. Io me la sono cavata, ma alcuni miei compagni purtroppo non ce l’hanno fatta», dice uno: ma nell’elenco dei morti non ci sono maschi

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