Da papà Lavia a Ronconi «Che emozione Celestina»

Da papà Lavia a Ronconi «Che emozione Celestina»

Cosa chiedere a una giovane attrice, figlia d'arte come poche al mondo dal momento che suo padre è Gabriele, l'uomo- spettacolo per eccellenza del teatro italiano e sua madre la bellissima Monica Guerritore? È arduo solo impostare una conversazione che oggi non pecchi di qualunquismo poichè al momento, sfuggita per un attimo alla guida asciutta e rigorosa di Gabriele (che, in «Tutto per bene» le spalancò la porta chiusa di Luigi Pirandello spingendola a cercare sotto ogni parola l'inedita costruzione di ogni frase), Lucia Lavia è approdata alla scuola di Luca Ronconi. Che nella «Celestina» di de Rojas, il testo-fiume datato 1500 concepito e varato in terra di Spagna, le ha affidato il ruolo spigoloso di Areusa. Una vergine come Melibea, la protagonista, di cui la giovane diventa una sorta di simbolico doppio. Dato che sì, anche lei, cede alle profferte amorose dell'uomo cui fa dono della sua illibata persona, anche se, avverte con malizia, «non è il caso di esagerare, per carità». Ed eccola in scena ne «La Celestina» è al Piccolo di Milano da oggi all'1 marzo. Apprendiamo così che lei, la nuova adepta del magico circo ronconiano, è rimasta piacevolmente sorpresa dalla splendida scenografia di Marco Rossi che in apparenza sembra nuda ma che invece, grazie alle luci saettanti e al brusco spalancarsi delle prospettive, cambia e si dilata, rimpicciolisce e si confonde come le tessere spaiate di quei caleidoscopi che ancor oggi colpiscono l'immaginazione dei bimbi. «A volte assumendo l'aspetto di un castello turrito partorito dall' immaginazione delirante di un poeta decadente». Perchè, spiega con la sua vocina, in realtà è un luogo della mente che lo spettatore è invitato a decifrare. «Come l'occulto evocato da Celestina, la mezzana triviale che, al tempo stesso, è una maga che dialoga col diavolo», la scena dà l'impressione di essere fissa e immutabile ma, grazie alla fantasia onirica del maestro dapprima si avvolge su se stessa per svolgersi poi come un incunabolo portato alla luce nel corso di uno scavo..». Lucia dice che il linguaggio della versione prescelta è splendido, che Ronconi è tornato ad esplorare quel sedicesimo secolo che tanto gli è congeniale fin dai tempi dell'«Orlando furioso» e che nella messinscena ci saranno quindi omaggi e locuzioni ispirate al mondo espressivo del Petrarca e a quello del Boccaccio.

«Soprattutto», spiega esplodendo in una franca risata, «quando l'azione si sposta dal palazzo di Melibea all'universo sfacciato e maledetto dei servi che, coi loro modi spicci e smodati in bilico tra la beffa spudorata e la voglia omicida di mettere alla gogna gli odiati padroni appariranno come una novita'sostanziale persino per i patiti di Luca Ronconi».

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