Quando il maestro scelse Milano per difendere Verdi

Erano gli anni '80, pubblicò un volume e riportò alla Scala Traviata e Trovatore

Piera Anna Franini

Le riserve sono state sciolte. Il 20 e il 21 gennaio 2017, il direttore d'orchestra Riccardo Muti torna alla Scala per due concerti, sebbene non alla testa dei complessi scaligeri ma - per questo primo passo - alla guida della (sua) Chicago Symphony (fra le prime cinque migliori orchestre al mondo). Milano lo aspetta, memore dei diciannove anni di conduzione del teatro scaligero, una fase lunga, intensa e chiusa con un divorzio cruento: Muti se ne andava nell'aprile 2005 promettendo a se stesso che non avrebbe mai più messo piede in quel teatro. Nel frattempo la Scala ha conosciuto grandi cambiamenti, il tempo ha consentito di mettere a fuoco le ragioni di quelle rotture, alcune tessere sono andate al loro posto. E così, a distanza di 11 anni dalla chiusura di rapporto, Muti sente di dichiarare che «oggi non ho nessun rancore verso il teatro. Ognuno di noi può commettere errori, però una cosa me la riconosco: di aver dato in quegli anni tutto me stesso. Si vede dal repertorio sinfonico e operistico che ho diretto e dalla qualità dell'orchestra», dichiarazioni raccolte dal mensile Classic Voice, in edicola da domani e che a Muti ha dedicato la copertina. È stato il sovrintendente Alexander Pereira a ricucire lo strappo. Alla conferenza stampa di insediamento, dichiarò subito di voler riportare alcuni grandi direttori, e fece il chiaro nome di Riccardo Muti. Quindi la prima mossa: la consegna, di persona, di una lettera degli orchestrali pronti a chiedere di tornare a collaborare con Muti. Il tutto a Ravenna, città dei Muti. La notizia circola e si accendono i motori. Nel frattempo, Muti è sempre più presente a Milano. In ottobre, in occasione di un suo programma per Rai5, viene sollecitato sul tema. Glissa dicendo che «alla Scala potrei tornare, ma non è il mio primo pensiero alla mattina». Trapelano notizie, si smentisce o non si conferma, si reclama il silenzio stampa per non rompere equilibri. Due settimane dopo, è in Conservatorio, la scuola dove si è formato e alla quale dona il frack di Arturo Toscanini. Muti e Pereira si incontrano di nuovo, e questa volta la stretta di mano è immortalata. A proposito di equilibri, da fine novembre i riflettori sono puntati sulla Prima della Scala, affidata al direttore in carica, Riccardo Chailly, in questi giorni impegnato in Fanciulla del West dell'amato Puccini. In aprile si rende noto che al Museo della Scala si dedicherà una mostra a Muti, per festeggiare i suoi 75 anni, e il 5 giugno il direttore incontrerà il pubblico: proprio al Piermarini. Che torni, ormai è chiaro. È solo una questione di date e di scelta dell'orchestra con cui festeggiare il ritorno: la Chicago di cui è direttore dal 2010 o i giovani della Cherubini? Ieri, la notizia rilanciata da tutti i giornali: dall'America alla Corea dove Muti sta per portare la sua Opera Academy. Muti ha diretto la Scala dal 1986 al 2005. Scelse Milano per presentare (nel 2012) il suo volume su Verdi, condiviso con Armando Torno. In quell'occasione ricordò «le battaglie per riportare certe opere alla Scala. Dopo 26 anni riportai Traviata, e dopo più di vent'anni Trovatore. Titoli che mancavano in un teatro che è l'emblema della musica operistica italiana. E Verdi è l'Italia. Però, forse il pubblico era così esigente che non era impresa facile portare certe opere fatte alla Scala con fior di cantanti, direttori, registi...». Lo disse in anni di grande presenza di Wagner alla Scala.

Non mancò di ricordare che «Verdi è il compositore che parla all'uomo dell'uomo. Nel futuro l'umanità avrà più bisogno di Verdi che di Wagner. Quando dirigi Wagner senti come una malia, una magia che non ti lascia e non ti farà dormire la notte. Verdi ti sa confortare».

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