"Con questi costi chiudiamo. Produrre non conviene più"

Il grido d'allarme di imprese lombarde e categorie: "L'aumento è drammatico, servono misure urgenti"

"Con questi costi chiudiamo. Produrre non conviene più"

«In 40 anni di carriera non avrei mai pensato di poter migliorare il bilancio di un'attività tenendola chiusa 40 giorni, ma le bollette erano talmente elevate che conveniva stare fermi piuttosto che produrre». Enrico Frigerio, amministratore delegato di Fdg Group e Fonderia di Torbole Srl, non sa più dove sbattere la testa. Il rincaro dei costi per la fornitura di energia, che impatta fortemente sulle industrie dell'acciaio, della carta, della ceramica o del vetro, mette a rischio la sopravvivenza di intere filiere. Alcune aziende, come la storica fonderia bresciana che produce dischi e tamburi freno per il settore auto, hanno deciso di «allungare», per così dire, le vacanze natalizie e tenere spenti gli impianti. E c'è il rischio che la produzione di decine di imprese non riprenda regolarmente a gennaio.

Una situazione «drammatica» in un contesto, paradossalmente, di forte ripresa: «Il bilancio della nostra azienda migliorerà - prosegue Frigerio - ma non quello dei miei dipendenti e dello Stato che deve pagare la cassa integrazione». L'incremento dei costi si riversa sui committenti e va a incidere inevitabilmente sui consumatori finali: «Possiamo aumentare i prezzi - va avanti sconsolato l'Ad della Fonderia - ma i clienti pian piano si stanno fermando». Quindi, o si dà una mano ora al comparto, con una sterilizzazione del Pun - il prezzo che determina il costo dell'energia - e misure di calmieramento per le aziende energivore, «o il problema diventerà sempre più grande» e le richieste di cassa integrazione cresceranno.

«A settembre abbiamo iniziato a vedere il nostro margine operativo lordo diminuire - racconta Fabio Zanardi, presidente di Assofond - a novembre azzerarsi, e poi andare addirittura in negativo. Adesso più produciamo più perdiamo». In questo scenario «abbiamo due strade - avverte - o la morte istantanea, onorando i prezzi di vendita e i contratti nella speranza che le cose si sistemino», col rischio di veder «sparire completamente un comparto industriale nel giro di due mesi». Oppure «la morte differita - prosegue - con la contrazione della produzione e le modifiche ai prezzi di vendita nelle catene dove operiamo». Così facendo «sopravviveremo nel breve - aggiunge - ma nel giro di sei o otto mesi vedremo tutte le nostre produzioni emigrare in Francia, Germania o Spagna». L'auspicio è che si trovi «una terza via», con la possibilità «di programmare e mantenere il nostro business in maniera sostenibile». Tra gli imprenditori serpeggia la paura «concreta» di non riaprire a gennaio. «Metteremo i nostri dipendenti prima in ferie poi in cassa integrazione - sospira Zanardi - proprio ora che abbiamo ordini che non vedevamo da anni». Il costo della Co2 «è passato da 18 a 90 euro senza una spiegazione - continua Giovanni Savorani, presidente di Confindustria Ceramica - noi vogliamo la transizione energetica, ma va fatta e non subita». Soprattutto considerando che «il 35% di quello che esportiamo finisce fuori dal mercato comune europeo. Se lo mettiamo a rischio perdiamo competitività e saremo esclusi completamente dal sistema». Anche la Reno de Medici Spa, azienda leader nella produzione di cartoni per imballaggi, come rivela il Ceo Michele Bianchi, sta pensando di prolungare le ferie natalizie e non riprendere a produrre. Stesso discorso alla Rcr Cristalleria Italiana, che produce vetro cavo e piano: «A gennaio avevamo una fattura da 400.000 euro - denuncia l'amministratore delegato Roberto Pierucci - quella di dicembre è di un milione e 600.000 euro. Se non ci sarà nessun intervento in 52 giorni andremo a sospendere la produzione, mettendo in cassa integrazione quasi 400 persone». Per il manager di Brembo e vicepresidente di Anfia, Roberto Vavassori, occorre «fare presto» visto che «intere filiere rischiano di scomparire». Non bastava la trasformazione energetica, l'aumento dei costi della logistica e il reperimento faticoso delle materie prime e dei microchip.

Adesso sul settore dell'automotive pesano anche i rincari dell'energia: «Iniziamo col contenere parte del pun - chiude Vavassori - che in Italia paghiamo indicizzato al prezzo spot del gas, aumentato di otto volte: così diventa una pistola carica alla nostra tempia».

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