La solitudine in cambio di una bellezza perenne

Il musical ispirato a Oscar Wilde, ma adattato al mondo attuale che insegue il fascino eterno

La solitudine in cambio di una bellezza perenne

«Questa è esattamente l'epoca di Dorian Gray. O meglio di tante versioni distorte di Dorian Gray. Una folla di persone che non ha uno specchio nascosto, ma un selfie-stick esibito. Si guardano, si fotografano alla ricerca dello scatto migliore da postare sui social network. Uno scatto che confermi la loro esistenza». Basterebbero queste (amare) parole dell'autore e compositore Daniele Martini per spiegare fino a che punto l'opera musical Dorian Gray. La bellezza non ha pietà, al debutto nazionale al Teatro degli Arcimboldi dal 4 al 6 maggio (ore 21, domenica ore 16, ingresso 49,45-29,90 euro, info 02.64.11.42.200) dopo l'anteprima al teatro Sistina di Roma sia drammaticamente attuale.

C'è un giovane di nome Mark Zuckerberg, dall'altra parte dell'oceano, che è diventato uno degli uomini più ricchi del pianeta sfruttando il tallone d'Achille collettivo di quest'epoca: il narcisismo. Il mitico protagonista del romanzo di Oscar Wilde è il simbolo di un narcisismo decadente che, nell'opera di Daniele Martini musicista, compositore, ballerino e coreografo - rivive in forma originale ed esteticamente importante: perché, ci si perdoni il gioco di parole, in essa forma e contenuto s'incontrano in modo suggestivo. Prodotto dal quasi centenario stilista Pierre Cardin (che ne ha curato personalmente i costumi insieme al nipote e designer veneziano Rodrigo Basilicati), diretto da Emanuele Gamba (al quale gli appassionati di musical non smetteranno di essere riconoscenti per un'impeccabile allestimento del musical Spring Awakening in Italia) e interpretato in solitaria da Federico Marignetti, già protagonista in Spring Awakening e tra i più carismatici attori di musical sulla scena nazionale, Dorian Gray è il racconto interiore di un uomo che, per ottenere la bellezza perenne, accetta un patto demoniaco che lo porta alla più totale solitudine.

La storia, prelevata dal romanzo di Oscar Wilde ma riscritta dall'unico punto di vista egotista del protagonista, parte dal momento in cui Dorian, di fronte al dipinto che invecchia al posto suo, sta per sferrare la coltellata che terminerà la maledizione. Accanto a Marignetti vi è solo un danzatore (Thibalut Servière e Marco Vesprini in alternanza nel ruolo), in una scenografia dove elementi decadenti e barocchi - anche nei costumi di Cardin, tratteggiati tra citazioni ottocentesche e angoli retti assolutamente contemporanei - contrastano con un cubo al centro della scena: un elemento che fa da casa e da simbolica scatola cranica e cervello del protagonista, da cui si sprigionano i suoi pensieri. Insomma, una concezione ardita che punta a far risaltare le qualità del protagonista: per Marignetti si può decisamente parlare di ruolo consacratorio, dopo i successi nel citato Spring Awkening e in Romeo e Giuletta prodotto da David Zard: «Sono da solo in scena e do voce anche alle altre personalità della storia, i ben noti Lord Henry Wotton e Basil Howard conclude l'attore -. Avvicinarmi al personaggio è stato stimolante e impegnativo: avevo letto Oscar Wilde al liceo, ma con la distrazione tipica degli studenti.

Ho rivisto le versioni cinematografiche, ma è al Ludwig di Visconti che mi sono per lo più rifatto». Nella colonna sonora, quindici brani che vanno dal melodico sinfonico, al pop al rock, per ottanta minuti di spettacolo senza intervallo. Anche questa, una scelta originale.

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