Giovedì sera Mauro Mantovani, operatore sociale e writer 38enne di Sesto San Giovanni, ha legato la sua bicicletta e con il suo zaino pieno di bombolette spray ha scavalcato il cancello di protezione dei binari ferroviari di via Venezia. Ha poi proseguito lungo le rotaie, fino all'altezza di via Breda, dove alle 21.40 circa è stato investito dal convoglio Milano-Lecco diretto alla vicinissima stazione di Sesto San Giovanni. L'urto è stato così violento che a poco sono serviti i soccorsi intervenuti sul posto e l'uomo è morto nella notte. Secondo gli inquirenti non sarebbe stato un incidente ma si avanza la possibilità di suicidio. Resa ancora più concreta dai racconti dei famigliari. Mauro era infatti depresso e soffriva molto per la perdita del fratello. Secondo le ricostruzioni avrebbe atteso dietro a un cespuglio l'arrivo del treno per intercettarne la sua corsa. Una morte presumibilmente cercata, da lui che della morte e dell'angoscia ne aveva fatto arte. Si definiva nei suoi canali social un «artista autodidatta», da cinque anni porta avanti un progetto: «Industrial art» che gli è valso molte esposizioni e riconoscimenti. Le sue opere, tuttora disponibili sui suoi canali social, sono impregnate di ansia e dolore. Maschere antigas, sangue, ritagli di giornale sono gli ingredienti di una pittura materica e viva. Un po' Basquiat e un po' Banksy. La sua creatività sempre a cavallo tra la protesta sociale e quella politica era dissacrante ma viva. Sull'essere umano scrive Mantovani: «... un'ombra ricorda che non si è fatti di sola apparenza, l'uomo è corpo e anima da sempre».
Una morte su cui si deve ancora fare chiarezza, ma che ha come luogo quello che sembra essere il triangolo delle bermuda degli artisti di strada. Lo stesso punto dove nell'aprile 2016 era morto il writer italo-russo di 19 anni «Slav», nome d'arte di Svyatoslav Naryshev, e in cui l'amico che era con lui, anche lui graffitista, rimase gravemente ferito.
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