SULLO SPARTITO In programma brani sacri con omaggi al Barocco e a Bach

Non c'è due senza tre e Alessandro Bongiorni, 29enne milanese tra gli autori della trasmissione Mistero su Italia 1, ci riprova. Dopo i romanzi Capitale mortale del 2007 e Se tu non muori del 2011, eccolo riproporsi con un noir di grande attualità: La sentenza della polvere (Piemme, 571 pag, 17,50 euro). Droga a palate, in questo caso eroina purissima, che sul mercato delle anime dannate sta soppiantando la cocaina; politica marcia e corruzione; finanza e poteri occulti; giornalismo deviato, violenza e le gang dei latinos di cui tanto si parla in questi giorni sono gli ingredienti di un romanzo che fa di Bongiorni un novello Donnie Brasco, visto che i suoi autori di riferimento sono Ellroy, Don Wislow, Stevens, il compianto Elmore Leonard, ma anche Conan Doyle, Scerbanenco, Fante, Dumas e Steinbeck.
Teatro dei suoi libri è la «sua» amata Milano, la zona di via Padova dove gli italiani sono ormai una rarità, le periferie degradate da Quarto Oggiaro al Parco Lambro al Gratosoglio, i posti dove i tossicodipendenti la fanno da padroni. Ma anche i vicoli della vecchia Milano imperiale dove Bongiorni da ragazzino si sbucciava le ginocchia, le vecchie mura romane del III secolo di via della Brisa, un retaggio di quando Mediolanum era capitale dell'impero romano o la chiesetta dimenticata di piazza San Sepolcro o anche la statua dell'uomo di pietra in corso Vittorio Emanuele 11/13 prima ben visibile nel cinema Astra e ora accantonata in un negozio griffato.
Insomma, la Milano storica e quella del degrado che ha come protagonista il vice commissario Rudi Carrera, cognome preso dal «sciur Carrera» della sopracitata statua, uno che ama Milano in modo viscerale, ma non la città caotica e chiassosa del centro, bensì la vecchia Milano dove anche di giorno puoi sentire il rumore dei tuoi passi. Ma il vice commissario ne conosce bene anche l'anima violenta e spietata, per questo non si stupisce quando un ragazzo viene trovato morto per overdose nella zona di via Padova. Questa volta però non è uno dei disgraziati dei bassifondi: si tratta del figlio del commissario Fenisi, da poco ricoverato per l'ennesima volta in una vicina clinica per disintossicarsi. Una morte che desta sospetti e non può passare sotto silenzio ed è qui che Carrera, incaricato dell'indagine, viene a conoscenza di un ingente traffico di cocaina che coinvolge alcune gang di latinos. Gente pericolosa che si contende il controllo del territorio a colpi di machete e fa della violenza l'unica ragione di vita.
Carrrera capisce che non è un'inchiesta da poco, vorrebbe tenerla lontana dai riflettori, ma deve fare i conti con Sandro Chiodi, un giornalista senza scrupoli in cerca del grande scoop e con il cinismo di Raul Monteferri, assessore alle politiche giovanili che si serve della guerra alla droga come bandiera per la sua campagna elettorale in vista delle elezioni europee. E salta fuori anche «il grande vecchio», l'eminenza grigia che tira le fila di tutto, l'insospettabile che non t'aspetti, anche perché un po di sano complottismo ci sta (Di Cataldo docet col suo Romanzo popolare). E davanti alle difficoltà e complicazioni Carrera non ha dubbi, non fa alcun passo indietro e mette tutto in gioco. Fino alla fine.

Ma in questa epopea di dramma disperato una voce di speranza c'è: il barbone Raimondo che vive coprendosi con i cartoni sui gradini di San Sepolcro, uomo di saggezza e filosofia infinita, acquisite dopo tanti anni passati a dormire sotto un tetto fatto di stelle.

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