La poltrona improvvisamente scotta. Palazzo Marino, come anche il Pirellone, è diventato nel volgere di pochi anni, fra i posti più scomodi d'Italia. E il laboratorio politico per antonomasia, Milano, oggi è sostanzialmente vacante, simbolo eloquente di un Paese che non produce più politica: la umilia, la vilipende, bruciando tutti i suoi uomini.
Nel 2016 Giuliano Pisapia si è fermato dopo un solo giro, fra retroscena e fantasie su stanchezze e ambizioni. A sinistra, quindi, era nata un po' artificiosamente la stella di Beppe Sala, «costretto» in campagna elettorale a comprare all'asta (dalla Sinistra x Milano) per 550 euro i calzini rossi del predecessore, «consumati sul tallone». Dai calzini rossi a quelli «rainbow», un anno fa era «esplosa» sui social la famosa foto di Sala seduto su una bella poltrona rossa. Alla vigilia del «Pride», calzini arcobaleno in vista - questa volta suoi - fece segnare 400mila visualizzazioni in poche ore, costruendo istantaneamente l'immagine di un paladino dei diritti civili. È stato il picco della popolarità per un ex manager che a tratti è parso in grado di proporsi come innovatore della sinistra nazionale, ma poi ha dovuto presto rinunciare a ogni significativa velleità politica, ripiegando su un profilo da «tecno-populista» (definizione di Matteo Forte), amico di Beppe Grillo, e finendo per estenuarsi con pose da «influencer» (copyright di Alessandro De Chirico di FI) mediaticamente ineccepibili ma sempre più improbabili.
Sala non ha ancora deciso se ricandidarsi. Lo ha ribadito ieri nell'intervista a La Repubblica: lo chiarirà «dopo le elezioni regionali». «Intanto - ha aggiunto - vediamo se come Salvini, il centrodestra ha candidati pronti a correre». Il centrodestra continua a incalzarlo: «La sensazione - ha detto Carlo Fidanza - è che sia in attesa di qualche treno migliore, ma Milano ha bisogno di un sindaco che le si dedichi anima e corpo». Ma soprattutto, Sala ha confermato di essere stanco. «La visione politica non può mancare - ha detto - ma bisogna essere capaci di gestire la complessità dell'amministrazione. Anzi, è indispensabile che ti piaccia farlo, se no diventa una sofferenza».
Eppure, il sofferto crepuscolo della sua era non è che l'ultimo atto di questa parabola che oggi vede la città più dinamica d'Italia priva di una guida egemone, in grado di segnare una stagione della politica italiana, come sempre è stato con autentici fenomeni come Bettino Craxi prima e il centrodestra poi. Ci ha provato poi Matteo Renzi - piaccia o no - ma la sua esuberanza rottamatrice si è rivelata inconcludente, nonostante i tentativi di sedurre la Milano produttiva della moda, di Expo, del Mobile eccetera. Impantanato in un rapporto di amore odio col Pd (sia quello renziano, sia quello odierno), anche Sala come Pisapia ora ha alzato bandiera bianca, comunque vada. Ma d'altra parte l'ha fatto anche Roberto Maroni, un leghista «top player».
E le fatiche dei governatori, compreso quello in carica, Attilio Fontana, oggi letteralmente assediato, confermano che il problema non è circoscritto alla sinistra: da quando la politica è stata umiliata e vilipesa dal «tarlo» del populismo, la sua mancanza si sente sopratutto a Milano, capitale della politica in cui i populisti a 5 Stelle non attecchiscono neanche un po' e Matteo Salvini non pare sfondare.
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