"Il vino greco e un'arrabbiata Mediterraneo, cena da Oscar"

L'attore è in tv con lo show: "Eccezionale veramente": "Il cibo? È amicizia, emozione, integrazione, allegria"

"Il vino greco e un'arrabbiata Mediterraneo, cena da Oscar"

Diego Abatantuono, milanese del Giambellino, protagonista del cinema italiano, Oscar per Mediterraneo, ora in televisione con Eccezionale veramente, trasmissione che riconsegna il cabaret alla vera comicità, si racconta a tavola con la sua recitazione naturale: «Recito come la gente parla, sullo schermo come nella vita».

Diego Abatantuono e il cibo.

«Chi meglio di me? Ad alcuni colleghi piacciono le auto o gli orologi, il mio investimento è stato a tavola, per stare tutti insieme, con gli amici. Sono stato il primo tra noi a diventare benestante e mi sono accollato l'ospitalità con gli amici di sempre Ugo (Conti) e Maurino (Di Francesco). Poi si è aggiunto Lipari, vincitore della prima edizione di Eccezionale diventato di famiglia e poi Mandelli, Ruffini, i Gatti di Vicolo Miracoli e il vecchio capitan ventosa, Luca Cassol. Nella grande casa in campagna sopra Riccione facevamo mega partite a pallone con Fiorello, Costacurta, Arrigo Sacchi. Campetto di calcio e cene in compagnia».

Uno stretto rapporto con il food?

«Talmente stretto da aprire due ristoranti: i Meatball Family. Le polpette che mi piacevano da ragazzo e che sono diventate un culto. Dalle vegetariane a quelle con il pesce, un cibo che piace a tutti».

Come va?

«Sta andando molto bene, sia in via Vigevano che in Stazione Centrale. Abbiamo anche due Ape Piaggio e una roulotte per lo street food fuori dallo stadio. Ci vado molto spesso, amo farli diventare un ritrovo come era al Derby, tanto che a volte togliamo i tavoli ai clienti».

Il sapore dell'infanzia?

«Molti, sono nato al Giambellino da famiglia lombarda di origine pugliese e una seconda nonna con cui mio nonno si risposò. Da lei cucina veneta oltre a quella lombarda e in Puglia tutte le estati con sughi e braciole che stavano sul fuoco tutta la domenica mattina. Poi a Lucca e quindi zuppe toscane. Fantastiche, vorrei aprire una Zupperia».

Da bambino?

«Da bambino tornavo a casa per pranzo e le mamme chiamavano dalle case, passavi davanti alle finestre delle cucine e uscivano i profumi siciliani, pugliesi, il couscous una vera integrazione, persone che stavano bene insieme. L'integrazione che si vorrebbe anche oggi».

Integrazione gastronomica?

«Milano è come l'America, i milanesi come gli indiani e gli altri venuti da fuori, una città che vive l'integrazione gastronomica. La ricerca di nuovi sapori non è di oggi, ma non amo il sushi, insipido, lo mangi perché lo intingi nella soia, ma potresti intingere qualunque cosa, anche uno stivaletto dei Beatles, stesso gusto. E poi il pesce non sai da dove arriva, è un animale ed è molto meno agile della mucca».

Ai fornelli o a tavola?

«Cucino, alcuni piatti mi vengono bene e amo far star bene gli amici, in compagnia mangio meno, poi mi frega la notte o quando sono solo. Una bella serie in Tv e resto fregato. A casa abbiamo cominciato con le catene al frigo, ora c'è una porta chiusa che mi tiene lontano. L'ultimo della famiglia che va a letto la chiude, anche se una volta sono riuscito a scassinarla».

Cosa non smetterebbe mai di mangiare?

«Vado a periodi, mi piace molto la carne e tutto ciò che fa male... Ma molto bene al morale. Questo è il periodo delle zuppe, con verdure e cavolo nero».

La cena che non dimenticherà mai?

«Quando abbiamo girato Mediterraneo, cene memorabili. Cucinavamo Ugo e io: un bicchiere di vino greco al tramonto e pasta all'arrabbiata davanti a un mare meraviglioso, più bello di quanto si veda nel film. Un benessere totale per allegria, età, periodo storico, talento di tutti. Non possiamo togliere una cena dal suo contesto e quelle erano davvero da Oscar».

Il vino cosa scatena in lei?

«Se non lo cerco io mi viene a cercare lui con Stefano Moccagatta, mio socio che produce il Villa Sparina a Gavi. Mio nonno si faceva mandare vino dalla Puglia e dal Piemonte e faceva il suo brand in cantina. Io ero piccolo e dicevano Bev no che te restet piscinin, ma io lo aiutavo a tirare il vino con la cannetta, un po' lo assaggiavo e ridevamo tutta la sera».

E poi?

«Quando è mancato mi ha lasciato un Velo Solex, una raccolta di fumetti e il vino. I fumetti me li sono ballati a carte con gli amichetti, il vino l'ho bevuto, il Solex me l'han fregato una sera davanti al Derby».

Importante il nonno.

«Era forte mio nonno, tornava la sera in bici con la vernice e il cappello di giornale. Metteva un sellino sulla canna e andavamo dal Giambellino verso il Dazio, c'era una cava e un lago con i pesci. Si diceva ci fosse un luccio enorme, ma nessuno lo ha mai visto. C'era l'osteria: uova sode, acciughe sotto sale con il burro, giardiniera bella unta nel boccione, cose che adesso non ci sono più. Era una libidine davvero».

E il cibo?

«Il toast farcito con l'aranciata San Pellegrino nella bottiglia gruttuluta era il mio paradiso gastronomico. Mio papà giocava a boccette e io me lo gustavo. Che bei ricordi, sono stato molto fortunato».

Menù tradizionale o innovativo?

«Apprezzo l'impegno dei grandi chef, la cultura che c'è dietro, ma all'esasperazione preferisco la tradizione. Un bel bollito misto piuttosto che schiuma di gambero su listelli della nave del Bounty. A volte esagerano».

Meglio una bella osteria.

«Quando sogno il cibo vedo un'osteria con tavolo di legno, giocatori di carte, salame e Lambrusco. Anche il cinema di una volta mi piace di più. Al Pacino, Marlon Brando, Gassman e Tognazzi, Monicelli, Scola e Risi. Non li vedo più, tantomeno se guardo a me stesso».

La cena romantica?

«Se è divertente, allegra.

Quando sei innamorato davvero, mi è successo due o tre volte, allora ceni in due con sentimento, in intimità. Il mio jolly è sempre stato farle ridere, ma la ragazza passa il turno quando la porti a conoscere i tuoi amici».

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