«Volevo fare l'attrice Adesso che debutto il palco mi mette ansia»

La cantante in prima nazionale al Menotti con un monologo: «In scena il mio dramma»

Antonio Bozzo

Al palco è abituata, ma fare teatro è diverso dall'elettrizzare il pubblico con le canzoni. Paola Turci, romana, 52 anni, la conosciamo. Una regina delle scene musicali, bravissima con voce e note, ma l'esame che deve superare martedì la inquieta. Sarà al Teatro Menotti con «Mi amerò lo stesso», in prima nazionale, poi per altre tre repliche.

Non dica che ha paura. Una come lei!

«Si tratta di un monologo, sarà tutto sulle mie spalle. Spero che mi assista la calma necessaria in momenti simili. Quasi un'ora in scena non è uno scherzo, vorrei vedere chi non vivrebbe in ansia».

Vuol dimostrare di essere un'attrice? Si accomodi: il pubblico di Milano ha fama di essere esigente.

«Sì, inutile girarci intorno. Il mio sogno è quello. Da ragazza ho studiato recitazione, fatto addirittura tre settimane con uno spettacolo al Teatro dell'Orologio a Roma, anche se non lo ricorda nessuno. Ho fatto provini per il cinema con Scola e Monicelli. Ero in parola per un film. La mia carriera avrebbe preso il volo sugli schermi, ne sono sicura».

E invece?

«Invece il destino. Quel terribile incidente in autostrada, a Ferragosto, nel 1993, mentre ero in tournée musicale al sud. Ne sono uscita viva per miracolo. Cento punti sul volto massacrato, molte operazioni, un occhio salvato in extremis. Un inferno. Il cinema me lo dovevo scordare, anche se ho lottato con tutte le mie forze per continuare come cantante, e credo di non aver sbagliato. Ma quanti mi dicevano, non sarai più come prima...».

Sono rimaste cicatrici? Intendo quelle sull'anima?

«Certo, me le sono portate dietro a lungo. Sono guarite, le cicatrici, solo con il libro autobiografico che ho scritto per Mondadori, due anni fa. Un libro terapeutico, sorta di autoanalisi in cui mi sono smascherata. Sulla pagina c'è la vera Paola. Tutti mi credono una donna fortissima, invece sono molto fragile. Ma è frequente che questi aspetti contrari del carattere vadano avanti insieme, come due fratellini dispettosi che si punzecchiano».

Da quel libro, che è piaciuto ai critici, l'omonimo spettacolo. Di chi è stata l'idea?

«Il libro è finito per caso all'attenzione del regista Emilio Russo, che se ne è innamorato. Con il trattamento di Alessandra Rucco, è diventato un monologo. La protagonista si chiama Paola, come me. Io ripercorro la sua vita, che poi è la mia. Incidente compreso, lo spartiacque della mia esistenza. Il regista mi fa agire in uno spazio pieno di specchi, un po' alla Lewis Carroll. Ma che fatica imparare il testo a memoria, anche se mi prendo qualche libertà».

Lei va a teatro?

«Più spesso al cinema, per studiare gli attori. A teatro a Milano ho visto Filippo Timi al Parenti. Lo conosco fin dai primi spettacoli, ora è davvero grandissimo. Poi a Roma ho seguito Stefano Accorsi».

Con chi le piacerebbe calcare le scene?

«Oltre a Timi, con Lavia. Sognare non costa nulla».

Differenza tra cantare e recitare?

«Come tra fotografare e disegnare, due pianeti diversi. Quando canto e suono esco eccitata sul palco, ma dentro sono tranquilla, il pubblico mi dà serenità. Vedremo che succede al Menotti».

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