nostro inviato a Torino
Una scheda dopo l’altra, un voto dopo l’altro. Una lenta, costante progressione fino a quella che sembra oramai mentre scriviamo queste righe una vittoriosa volata in fotofinish con 10mila voti di scarto. È la sintesi più realista della straordinaria, avvincente corsa elettorale culminata con la vittoria di Roberto Cota, 42 anni, avvocato. L’uomo del centrodestra che, da ieri sera, è il nuovo presidente della Regione Piemonte. L’uomo nuovo che ha infranto i sogni di gloria di un centrosinistra, diviso e acciaccato, guidato dalla governatrice uscente Mercedes Bresso, che però non si dà per vinta: «Chiederemo di ricontare le schede, c’è stato molto voto disgiunto».
E così il leghista di Novara, colui che assieme al suo partito e ai suoi alleati «andava ricacciato indietro, al di là del Ticino» come sprezzantemente aveva sentenziato nei suoi vari interventi la Bresso, ha compiuto la sua impresa perfetta.
Accolta tra gli applausi e gli slogan, che per tutta la lunga corsa hanno accompagnato e sostenuto con entusiasmo, la maratona nel quartier generale della Lega in via Poggio. Una partita difficile quanto significativa per la coalizione del premier Berlusconi, quella vinta in Piemonte, chiosata dalle parole del vincitore, giunte solo alle due: «Ho aspettato fino all’ultimo, ma ora possiamo dirlo: abbiamo vinto, ora possiamo fare il federalismo e rilanciare una Regione rimasta ferma per cinque anni - ha esultato Cota -. Il riconteggio? La Bresso ha perso un’altra occasione di stare zitta. I piemontesi l’hanno mandata a casa, piuttosto siamo noi che temiamo ci abbiano sottratto dei voti, senza parlare delle liste patacca».
«Giovane, esperto, preparato. Tra gli uomini di Bossi è quello che mi è stato più vicino, è a lui che faccio riferimento quando si tratta di convincere Umberto. Il solo difetto è che ha una moglie magistrato: ma è un magistrato perbene, Cota avrà la responsabilità di guidare il Piemonte: ne sono sicuro», aveva preconizzato Silvio Berlusconi nel suo intervento a Torino per lanciare la volata del candidato di bandiera. E con la moglie Rosanna i suoi familiari e i suoi amici più intimi, tra cui l’abile regista della sua campagna elettorale Elena Maccanti, deputata leghista, e il sindaco della sua Novara Massimo Giordano, Cota ha preferito seguire, chiuso fino a tarda nottenel suo ufficio al primo piano della sede di via Poggio, l’evoluzione del voto.
Avvocato penalista, 42 anni, ha mosso i primi passi nella Lega Nord di Novara, dove è stato fra l’altro assessore alla Cultura. È stato segretario nazionale della Lega Nord Piemont, consigliere regionale, sottosegretario all’Attività produttive nei due governi Berlusconi, dal 2001 al 2006. Arrivato alla Camera per la prima volta nel 2006, nel 2008 è eletto capogruppo del suo partito.
Sicuramente la spallata decisiva alle illusioni di una riconferma covate dalla Bresso e dai suoi supporter l’hanno data le critiche puntuali e documentate che Cota ha mosso alla giunta uscente.In particolare la profonda divergenza di vedute, chiamiamole così, sulla Sanità.
Roberto Cota e il Pdl hanno contestato alla Bresso il buco nero dei conti pubblici del settore, lievitati di 2,1 miliardi di euro in cinque anni. Con una mossa che ha dato scacco all’avversario, Cota ha sposato l’idea di Giorgio Palestro, preside di Medicina, di inserire il progetto della tanto dibattuta Città della Salute, nell’ambito dei lavori che verranno varati sotto il segno dell’Expo 2015, ovviamente con l’accordo preventivo di Roberto Formigoni.
In buona sostanza una Sanità più privata, opposta al modello totalmente pubblico che stava tanto a cuore alla presidente. Una dei tanti guizzi vincenti, dicevamo, che hanno suscitato la reazione scomposta della governatrice uscente e l’hanno fatta straparlare: «Noi siamo un’altra cosa da loro. Questi della Lega sono fascisti. Li ributteremo oltre il Ticino». Appunto. Ma è un dato di fatto che il motore di Mercedes Bresso si è imballato anche a causa di certe sue posizioni passate e recenti, accettate obtorto collo anche dai suoi ritrovati alleati dell’Udc, su aborto, coppie gay ed eutanasia. La storia della oramai ex presidente piddina del Piemonte parla infatti per lei.
Perché già da capolista dei radicali alla Camera nel 1976, scese in campo in prima persona quando nel 2005 iniziò la sperimentazione della pillola abortiva Ru486 all’ospedale Sant’Anna di Torino. Non ha mai tradito quelle posizioni ma, alla prova delle urne grazie o per colpa di quel suo passato, non è andata molto lontano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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