In missione per aiutare l’Africa Le famiglie: «Abbiamo paura»

Lui era andato in pensione per poter istruire contadini, lei diventò Cavaliere dopo aver combattuto la malaria

Non si tratta di fegato, è una questione di cuore. A sentire chi li conosce bene, Jolanda Occhipinti e Giuliano Paganini, i due cooperanti rapiti in Somalia, non sono persone speciali per aver scelto di correre rischi in luoghi dove anche soltanto scontate attività quotidiane come il dormire, il lavarsi o il mangiare costituiscono delle sfide.
Lo sono invece per qualcosa che batte forse a un ritmo diverso da quello di tutti noi: proprio lì, a sinistra, nel petto, subito dietro le costole. Batte per qualcosa che può essere il prossimo che soffre o ha fame e di fronte al quale loro sono di quelli - e ce n’è tanti - che non ce la fanno proprio a girare la testa dall’altra parte. Ma batte anche per una terra struggentemente bella quanto drammaticamente sfortunata come l’Africa, pur se quello dei due cooperanti italiani è un «male» di ben altra pasta rispetto a quel che colpisce i turisti degli inclusive tour.
Di certo, per l’Africa, pulsa da quasi tutta una vita il muscolo cardiaco dell’agronomo pistoiese Giuliano Paganini, un sessantaseienne dalla forma invidiabile. Lui, quelle terre le gira e le «respira» da quando era un ragazzo, al punto da aver contagiato nel tempo anche la moglie, Fulvia Cappello e la figlia trentenne Valentina. La stessa che ieri, preoccupata, ha chiesto ai cronisti radunati davanti a casa di «abbassare i riflettori per il rispetto delle trattative, affinchè tutto possa andare bene e mio padre e Jolanda possano tornare presto a casa».
Per Paganini, fisico asciutto e capigliatura immacolata che fa spiccare ancor più l’abbronzatura, andare in pensione quattro anni fa ha rappresentato il coronamento di un sogno: poter trasmettere le sue conoscenze a una popolazione martoriata dai signori della guerra e che invece proprio nel più pacifico dei lavori, quello della terra, potrebbe trovare la salvezza e una speranza per il domani.
«Il suo incarico - spiegano al Cins, l’ente non governativo per conto del quale si trova da marzo in Somalia - è portare a termine un progetto finalizzato a incrementare la produzione agricola locale attraverso la diversificazione delle colture». E lui ci credeva al punto che proprio per questo, per poter completare la formazione di quella quarantina di contadini locali che gli era stata affidata, aveva deciso di rinviare il ritorno a casa.
È invece da anni una cooperante «in attività», cioè a tempo pieno, la siciliana Jolanda Occhipinti, cinquantunenne infermiera che proprio il 17 marzo scorso era stata insignita del cavalierato dell’Ordine della stella della solidarietà italiana presso la nostra ambasciata a Sanaa, capitale dello Yemen, paese nel quale aveva condotto un progetto pilota in ambito sanitario sulle possibili cure della malaria. E sempre di sanità, con un progetto nuovo, oltre che di amministrazione, si occupava da marzo presso la sede somala dell’organizzazione non governativa.
Eppure nella sua vita, Jolanda, ragusana di nascita, ha avuto anche un’altra passione, oltre a quella di aiutare il prossimo: il basket. Ed è stato proprio a forza di rimbalzi che aveva conosciuto un altro aspirante cestista, Vincenzo Tumino, con il quale si è poi sposata e dal quale ha avuto due figli: Arianna - guarda caso allenatrice di pallacanestro - e Giovanni, con i quali vive a Ragusa quando non è in giro per il mondo.
«Siamo molto preoccupati, speriamo che tutto si risolva al più presto.

Siamo in costante contatto con la Farnesina che ci aggiorna sulla situazione - ha dichiarato ieri alle agenzie di stampa Tumino, ormai da diversi anni separato da Jolanda - Con lei non ci vedevamo da tempo. Io mi trovo fuori da Ragusa, ma sto rientrando. Se ho sentito i miei figli? Certo, e sono preoccupati, molto preoccupati».

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