Il mistero del Muro di Berlino dopo venti anni dalla caduta

È l’evento che ha segnato la storia dell’ultimo secolo. Ma i suoi retroscena appaiono oggi più che mai oscuri. L’abbattimento fu deciso dal regime o fu il colpo di mano delle colombe che volevano evitare la repressione? O fu, semplicemente, un errore?

Il mistero del Muro di Berlino 
dopo venti anni dalla caduta

Berlino - Durante i suoi 28 anni di servizio il muro di Berlino è stato lo scenario di infinite storie di spionaggio e di trame oscure, molte inventate dai giallisti ma molte realmente accadute. E ancora oggi che non c'è più da due decenni, continua a essere al centro di misteri. Tutti noi conosciamo le immagini della folla impazzita di gioia che la sera del 9 novembre del 1989 si precipita verso i posti di blocco e varca l'odiata barriera da est a ovest e da ovest a est. Ma poche e contraddittorie sono le notizie sui retroscena che hanno portato alla caduta della frontiera che divideva le due Berlino.

A tutt'oggi non è stato trovato un solo documento del Politburo o del Comitato centrale, i due massimi organi decisionali della Ddr, che autorizzasse l'apertura del muro. Chi allora diede l'ordine alle guardie di frontiera di alzare le sbarre? Fu una decisione del regime nel tentativo estremo di frenare la protesta popolare e di salvare ciò che rimaneva dello Stato tedesco orientale? Oppure fu un colpo di mano delle colombe per impedire ai falchi di scatenare una repressione come pochi giorni prima era avvenuto a Pechino sulla piazza di Tienanmen? Ci fu un ruolo dei servizi segreti occidentali oppure, come sostengono alcuni, la caduta del muro fu dovuta a una «panne», una svista, un errore di comunicazione? Tutti interrogativi che tornano di attualità mano a mano che si avvicina l'anniversario suscitando dibattiti tra storici e giornalisti e improvvisi recuperi di memoria da parte di protagonisti e testimoni di quel giorno che cambiò la storia.

Il punto di partenza che alimenta il mistero è il modo in cui fu dato l'annuncio. Una delle decisioni più clamorose del secolo fu annunciata quasi di nascosto, come se fosse una notizia di routine. Sono le 18 del 9 novembre quando il portavoce del Politburo Günther Schabowski inizia la conferenza stampa settimanale per i giornalisti di tutto il mondo al primo piano del Pressezentrum nella Mohrenstrasse. Fuori, per le strade di Berlino est, la situazione è sempre più incontrollabile. Alla Gethsemane Kirche la Stasi è costretta ad arrendersi alla folla che fa scudo alla chiesa dove sono rifugiati i capi della rivolta. Sulla Karl Marx Allee i cortei sfilano gridando «Wir sind ein Volk» (siamo un solo popolo): la protesta esplosa come rivolta contro il regime si è trasformata in rivolta per l'unità nazionale. E intanto colonne di tedeschi dell'est continuano a fuggire verso l'Ungheria da dove, attraverso l'Austria, passano in Baviera. Nel tentativo di bloccare fughe e proteste il regime ha sostituito il duro Erich Honecker con il più flessibile Egon Krenz. Ma non basta. La piazza chiede cambiamenti più radicali che arrivano la sera del 9 novembre.

Per mezz'ora Schabowski parla delle nuove misure che regolano le riunioni in pubblico. Poi un giornalista italiano, Riccardo Ehrmann, corrispondente dell'Ansa, gli chiede se ci saranno anche nuove misure sugli espatri. Schabowski fruga tra le carte e con tono fintamente distratto legge un appunto in cui è scritto che per varcare le frontiere della Ddr non saranno più necessari visti di espatrio. Niente visti significa frontiere aperte. Un giornalista del Bild Zeitung, Peter Brinkmann, chiede quando entreranno in vigore le nuove misure e la risposta è: «Credo da subito». A questo punto nella sala stampa scatta il fuggi fuggi e poco dopo le 19 radio e tv interrompono i programmi e ripetono incessantemente «Die Mauer ist geöffnet» (il muro è aperto). Il resto è noto.

Ciò che non è noto invece è perché un annuncio così importante fu dato in sordina. Ehrmann, il giornalista dell'Ansa, ha ammesso, molti anni dopo, che la domanda gli fu suggerita il giorno prima dal direttore della agenzia giornalistica della Ddr, l'Adn. E Schabowski ha rivelato che l'appunto da lui letto era stato scritto da Egon Krenz, il numero uno del regime, il quale conferma, ma precisa che il suo appunto non solo non era stato ancora ufficializzato dal Politburo ma non indicava una data per l'applicazione delle nuove misure. Tre precisazioni che avvalorano l'ipotesi di un colpo di mano per mettere i falchi davanti al fatto compiuto.

Altro mistero: perché nell'annuncio letto da Schabowski non c'è un riferimento diretto al muro di Berlino che era, sì, una frontiera della Ddr ma particolare e la cui apertura avrebbe avuto un impatto scatenante? Errore di comunicazione? O forse perché l'orientamento del Politburo e dello stesso Krenz era di aprire, sì, le frontiere ma non il muro di Berlino il cui crollo avrebbe comportato anche il crollo della Ddr come è poi avvenuto? Domande senza risposta anche vent'anni dopo.

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