La moda con i gilet gialli

di Daniela Fedi

Il primo lo incontri all'aereoporto ed è in visone. Si tratta di un meraviglioso modello di Michael Kors che lui chiamerebbe «sleeveless» cioè senza maniche, ma che qui a Parigi è tristemente noto come gilet jaune. Il secondo è firmato Off White, marchio creato dal designer e dj Virgil Abloh che dal 2018 è anche il direttore creativo della linea maschile di Louis Vuitton. Bianco, arancione e giallo sono i suoi colori preferiti. Il terzo gilet giallo deve essere moltiplicato per 30: un plotone che scende compatto e vociante verso la Senna dalla parte finale di Boulevard Saint Germaine.

Siamo a due passi dall'Institut du Monde Arabe dove si sta per svolgere la sfilata di Casey Cadwallader per Mugler. È uno dei punti caldi di Parigi, sotto stretto presidio delle forze dell'ordine per paura di attentati o ritorsioni. Ovvio quindi che la presenza dei manifestanti getti costernazione e panico nel popolo della moda. «Ma è già sabato?» chiede una giovane stylist. «Oddio allora stasera c'è Hermès» commenta un'altra che al momento sembra più preoccupata di non avere la borsetta giusta. In realtà è giovedì per cui non si rischiano assalti dei gilet jaune. Questi ultimi nel frattempo sono arrivati vicino a noi e finalmente ci si accorge che sono dei nanetti: un'intera scolaresca delle elementari con intenzioni bellicose solo verso la merendina. Le maestre li hanno vestiti con quella che ormai è la divisa della guerriglia urbana parigina unicamente per distinguerli dagli altri bambini. Quel gaffeur di Toninelli si farebbe un selfie con loro giusto per emulare le imprese di Di Maio. A noi scappa da ridere, ma lo scampato pericolo ci consola fino a un certo punto: visto che le manifestazioni si svolgono il sabato speriamo in bene per oggi anche se albergatori e taxisti da ieri sera dicono «il y a la gréve»: c'è lo sciopero per dire che c'è casino.

Tutt'altra storia ai controlli necessariamente rigorosi nella città costretta a piangere le vittime di tanti attentati: da Charlie Hebdo al supermarket di Trebes passando per il Bataclan con i suoi 137 morti di 27 diverse nazionalità. Davanti ai metal detector, ai cani antiesplosivo e ai militari in tenuta antisommossa, il popolo della moda dà il peggio di sé.

C'è la scema che si presenta dimenando il lato b come se ballasse il twerking. Le russe non vogliono mai aprire la borsetta che in genere è firmatissima, di coccodrillo albino o serpente piumato e costa quanto un anno di stipendio (oneri fiscali inclusi) dei nostri medici ospedalieri. Ai poliziotti viene il nervoso e hanno i sensi della nostra più profonda comprensione, ma dentro i rossetti non si possono nascondere le Makarov, inutile quindi aprirli e controllarli uno per uno. Stendiamo poi un pietoso velo su quel tipo di gay che definisce se stesso e i suoi amici «Le pazze». Arrivano in massa sculettando. Allungano le mani verso i cani guardando dritto in faccia i padroni. A cui vengono le orecchie rosse per l'imbarazzo mentre si preoccupano che non si tocchino i loro animali: perderebbero di vista il compito per cui sono stati addestrati.

Non mancano i nevrotici che pretendono di passare sotto il metal detector mentre telefonano, quelli che lo buttano seccati nell'apposito cestino e poi si confondono portandone via un altro che ovviamente non riescono a usare. Insomma un inferno dove succedono cose esilaranti tipo entrare alla sfilata di Miyake con l'invito di Leonard perché sei talmente furioso che non lasci parlare nessuno e nessuno osa parlare con te. Vive la France!

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