"Che dramma i bimbi nel nostro mirino"

Israel "Relik" Shafir, il generale dell'aviazione che colpì il reattore nucleare di Saddam Hussein: i piloti israeliani non sono assassini

"Che dramma i bimbi nel nostro mirino"

Israel «Relik» Shafir, Generale dell'Aviazione nelle Riserve è uno degli otto piloti scelti nel 1981 per distruggere il reattore nucleare di Saddam Hussein nella missione di Osirak. Shafir è un uomo di incredibili avventure con 31 anni di esperienza nelle più audaci operazioni, e nessuno può rispondere meglio di lui alla domanda che tormenta tutto il mondo da quando, in questi sette giorni, l'aviazione ha bombardato dall'alto la Striscia di Gaza con la perdita di più di 150 vite umane.

Generale, Israele si pregia di avere l'esercito più morale del mondo. E allora perchè durante i vostri attacchi restano uccisi un numero di persone tale da suscitare proteste in tutto il mondo, 170 fino ad ora?
«Provi a immaginare che un noto assassino si sia impadronito, portandosi dietro la famiglia, di un rifugio protetto da cui può sparare agli alunni di una scuola, e immagini che suo figlio sia uno di questi. L'assassino è dietro una finestra, e quindi la polizia aspetta sperando che si allontani dalla famiglia per fermarlo. Ma a un certo punto si avvicina alla finestra, impugna il fucile per sparare ai tuoi figli. La sua famiglia potrebbe essere accanto a lui, ma tu purtroppo non hai scelta: è tuo dovere fermarlo. Le armi di Hamas sono puntate sui nostri figli, intorno a uno delle loro rampe di lancio che sta per sparare si affollano anche degli estranei, vuoi aspettare, ma il missile è già sulla rampa, devi fermare i terroristi. Il tuo popolo è sotto tiro, devi usare il tuo proiettile».

Generale, l'Ue, l'Onu vi criticano, troppi morti, a volte si ha l'impressione che abbiate il grilletto facile.
«È vero esattamente il contrario: il procedimento è enormemente lento, la guerra potrebbe essere finita il primo giorno. Pensi che cosa potrebbe fare la nostra aviazione se usasse solo parte della sua forza. Invece selezioniamo minuziosamente gli obiettivi, anche mentre la nostra gente soffre. La catena di decisione è molto complessa: si parte dai servizi segreti con le informazioni sulla dislocazione e l'importanza dell'obiettivo, poi ci sono 27 verifiche video che vengono mandati a un centro di verifica che le passa al comando che a sua volta investe il pilota del suo ordine operativo, se non ci sono pericoli per i civili».

E a quel punto il pilota parte e non lo può fermare nessuno?
«Tutto il contrario, di nuovo. Il comandante decide lui se l'obiettivo coinvolge individui estranei a Hamas, obiettivo dell'operazione, e decide se portare avanti l'operazione. Può sempre abortirla e cancellarla, o rimandarla. Inoltre, per 30 secondi, possiamo deviare il proiettile lanciato. È un nostro dovere, non solo una nostra scelta, abortire l'operazione se porta a vittime estranee al conflitto».

Ma spesso l'operazione viene portata avanti lo stesso.
«Molto raramente, e se le lo si fa è perchè si è di fronte a un'occasione unica. In altre parole, perchè le armi, le rampe stanno per essere usate adesso, oppure quel personaggio di Hamas che devi colpire è una bomba ticchettante che non avremo altre occasioni di fermare».

Lei si è trovato in queste situazioni?
«Quasi tutti ci si trovano»

E che cosa garantisce che facciate la scelta giusta?
«Una selezione accuratissima dei piloti, che devono innanzitutto rispondere non a scelte tecniche, ma morali. Un pilota ammesso al corso deve dimostrare di avere il giusto sistema di valori: ogni vita umana è sacra, un intero mondo per sè stessa. Devi essere sicuro che chi compie difficilissime operazioni non prenda la vita di persone che non c'entrano».

Ma la regola non sempre funziona. Quali sono i vostri sentimenti profondi quando questo avviene?
«I sentimenti... ognuno ha i suoi. Ma anche se hai una sensazione di sconfitta, devi subito tornare sul campo. Noi non abbiamo le pagine Gialle di Gaza, non sappiamo esattamente chi Hamas ha messo di guardia sulle armi a sua insaputa magari, solo loro lo sanno».

Lei sostiene che la prudenza ha causato poca perdita di vite umane. Non lo pensa l'opinione pubblica internazionale...
«Pensi che sono più di mille i missili sparati sulla popolazione israeliana, e i morti sono circa 150 dopo che abbiamo colpito 1535 obiettivi, fra cui 33 basi sotterranee, 8 siti di produzione di armi, 4 quartier generali di Hamas».

Eppure la guerra non finisce. Lei entrerebbe con l'esercito?
«A livello del tutto personale, le dico di no. Abbiamo già portato il loro livello militare a 20 anni fa, l'Egitto gli ha chiuso ogni fonte di rifornimento. Hamas vuole molti morti per richiamare l'attenzione, ma è in crisi: dobbiamo lasciare che abbia luogo il loro cessate il fuoco, e noi seguiremo».

Perchè il mondo non vi capisce?
«Guardi, io porto il nome di mio nonno che è morto in un campo di concentramento,

come gli altri 80mila ebrei di Vilna. Non c'è mai stata molta simpatia per la nostra causa, si preferiscono i perseguitati dall'imperialismo, fra cui i palestinesi. Noi dobbiamo cercare la pace, e salvare il nostro popolo».

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