Restano ancora molti interrogativi sulla morte di Kim Jong-nam, il fratellastro del leader della Corea del Nord ucciso all'aeroporto di kuala Lumpur, in Malesia.
L'autopsia fatta sul corpo del 46enne non ha ancora chiarito le reali cause della morte dell'uomo ma i riflettori sono di nuovo accesi sui dissidi interni della famiglia Kim. Per ora, di confermato c'è il fermo di polizia di una donna di 28 anni in possesso di passaporto vietnamita di nome Doan Thi Huong, secondo quanto riferisce l'agenzia di stampa malese Bernama, identificata dalle immagini delle telecamere a circuito chiuso dello scalo: la pista inizialmente seguita dai servizi segreti sudcoreani è quella di un omicidio compiuto da due donne dei servizi del regime di Pyongyang, che avrebbero avvelenato Kim Jong-nam mentre era in attesa di imbarcarsi su un volo per Macao.
Kim Jong-nam è stato molto probabilmente almeno per cinque anni nel mirino dei servizi segreti nordcoreani. Già nel 2012 Kim era riuscito a sfuggire a un tentativo di omicidio e negli ultimi anni viveva "sotto la protezione del governo cinese", secondo le dichiarazioni di Lee Byong-ho, capo del National Intelligence Service di Seul riprese dall'agenzia sudcoreana Yonhap.
All'interno della famiglia, Kim Jong-nam era forse il membro più problematico e scomodo per l'establishment di Pyongyang, una sorta di outsider. Primo nella linea dinastica di successione al padre alla guida dello Stato, Kim Jong-Il, morto nel dicembre 2011, era caduto in disgrazia diversi anni fa, nel 2001, quando era stato fermato in un aeroporto giapponese in possesso di un falso passaporto della Repubblica Dominicana. Da anni viveva in esilio, e prima ancora del tentativo di omicidio del 2012 avrebbe subito un'aggressione nel 2008 in Ungheria.
Sempre secondo l'intelligence sudcoreana, una delle sue due mogli vive a Pechino con un figlio, mentre l'altra risiede nell'ex colonia portoghese con altri due figli. Il rapporto con il fratello oggi al potere a Pyongyang è sempre stato difficile: delle poche dichiarazioni pubbliche rilasciate, se ne ricordano alcune in cui critica il regime e il suo procedere per linee dinastiche. A gennaio 2012, il giornale giapponese Tokyo Shimbun ha pubblicato il contenuto di una e-mail che sarebbe stata inviata proprio da Kim Jong-nam al giornale che in precedenza lo aveva intervistato. "Chiunque sano di mente troverebbe difficile tollerare tre generazioni di successione ereditaria", scriveva il fratello maggiore dell'attuale leader di Pyongyang. Il fratellastro, Kim Jong-un, è solo un "simbolo", come lo aveva definito, ma il potere, aveva aggiunto, sarebbe rimasto nelle mani delle elite del Paese.
Anche per un altro dei fratelli di Kim Jong-un, Kim Jong-Chol, i rapporti con il leader nordcoreano sarebbero complicati: Kim Jong-un lo avrebbe messo alle strette e costretto a scrivere una lettera in cui dichiarava la propria lealtà al regime. Niente esilio per lui: da anni Kim Jong-chol vivrebbe confinato in un albergo a Pyongyang. Secondo altre fonti, invece, oggi avrebbe una buona posizione all'interno del partito unico nordcoreano, il Partito dei Lavoratori guidato dal fratello, eletto presidente al Congresso di maggio scorso, il primo dal 1980.
Migliore, invece, il rapporto tra Kim e le due sorelle: Kim Yo Jong, la sorella più giovane, viene data come un potente membro delle elite nordcoreane, anche se quasi completamente ignota alla popolazione e del cui ruolo non si hanno dettagli. Anche Kim Sul Song godrebbe di una buona posizione nell'establishment di Pyongyang. Chi invece non è sfuggito all'ira di Kim Jong-un è stato lo zio, Jang Song Thaek, giustiziato nel dicembre 2013, pochi giorni dopo un processo militare lampo che lo ha riconosciuto colpevole di tentativo di colpo di Stato ai danni del nipote. All'epoca della morte Jang era considerato il numero due del regime.
L'elenco dei familiari che sono stati uccisi, o sulla cui fine aleggia il mistero, comprende anche un nipote di Kim Jong-il, il padre dell'attuale leader nordcoreano. Lee Han-young è stato trovato morto con ferite d'arma da fuoco di fronte alla sua abitazione a Seul nel 1997.
Lee aveva lasciato la Corea del Nord già nel 1982, ma la Corea del Sud ne aveva confermato la presenza sul proprio territorio solo nel 1996, l'anno prima della morte: anche Lee, come Kim Jong-nam, aveva criticato il regime di Pyongyang e le indagini sulla sua morte avevano svelato che l'omicidio sarebbe stato compiuto da spie nordcoreane che sarebbero riuscite a tornare nel Nord prima di essere catturate.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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