La Francia vuole armare i curdi, Ue indecisa

Membra disarticolate di un corpo che dovrebbe essere unico ma cui sembra mancare un «cervello centrale». Così appare l'Unione europea anche questa volta, di fronte alla grave situazione irachena.

Il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius è arrivato ieri pomeriggio a Erbil per un faccia a faccia con il governatore della regione autonoma del Kurdistan Massud Barzani e per coordinare gli aiuti di Parigi ai profughi della regione del Sinjar: la Francia conferma che non intende intervenire militarmente in Irak ma, in accordo con i partner Ue, cercherà di trovare il modo di fornire armi ai peshmerga curdi.

All'indomani dell'avvio dei raid americani il presidente francese Hollande si era dichiarato pronto a collaborare nello sforzo umanitario per la popolazione, e lo stesso aveva fatto il premier inglese David Cameron. In Gran Bretagna quello stesso giorno il ministro della Difesa Michael Fullon aveva convocato una riunione del comitato d'urgenza. Sabato, poi, era arrivata anche la dichiarazione di sostegno all'operazione americana da parte del titolare tedesco degli Esteri Frank Walter Steinmeier. Tutti concordi sulla necessità di «evitare il genocidio», ma nessuna voce comune. Ciascun Paese ha una sua linea, che com'è ovvio tiene conto delle posizioni altrui, ma non per questo si può definire «comune». L'Europa si è espressa ieri, per bocca del - quasi ex - Alto rappresentante della politica estera Catherine Ashton. Ma non c'è stato ancora un vertice unico dei ministri degli Esteri dei 28 membri, auspicato ieri in modo esplicito dalla titolare della Farnesina Federica Mogherini. Cioè proprio da colei che da settimane è in pole position per sostituire Ashton nel ruolo di «Lady Pesc».

Dovrebbero essere «non i livelli diplomatici, che pure sono bravissimi e ottimi, ma i ministri degli Esteri dell'Unione europea a prendersi le responsabilità politiche» delle scelte sulle crisi in atto, ha detto Mogherini in un'intervista a Rainews24 sull'Irak.

Osservazioni che aggiungono evidenza a un copione già visto in altri conflitti, quello di una Europa fatta di meccanismi spesso lenti e poco efficaci.

L'ultimo, lungo vertice del 15 luglio scorso, con il semestre di presidenza italiano avviato, si è chiuso con un nulla di fatto sulle nomine più impellenti: Federica Mogherini non è riuscita a ottenere per ora la successione alla Ashton, a causa soprattutto della contrarietà dei Paesi dell'Est europa, che la ritengono troppo in sintonia con la Russia di Putin.

Ma lo stallo istituzionale riguarda anche altri ruoli che dovrebbero essere chiave, come il nuovo presidente del Consiglio Ue. Una poltrona per la quale era girato il nome di un'altra donna, la danese Helle Thorning-Schmidt, che poi però aveva smentito.

E dopo la nomina ufficiale del lussemburghese Jean-Claude Junker alla guida della Commissione europea (con la fiducia ottenuta dal Parlamento Ue) anche la decisione sul

resto della composizione di quest'organismo è stato rimandata al prossimo 30 agosto. Del resto lo stesso sito internet della Commissione avvisa che «le riunioni settimanali riprenderanno a settembre».

Twitter @giulianadevivo

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