Quella fretta di tifare che scatena i cortocircuiti

Come sempre avviene nelle crisi e nelle grandi questioni mondiali, la voglia di essere "partigiani" rischia di essere controproducente. E crea anche curiosi cortocircuiti

Quella fretta di tifare che scatena i cortocircuiti

La crisi ucraina, come del resto avviene sempre più spesso in tutte le questioni internazionali e non, comporta spesso una velocità di "tifo" che non ammette riflessione. Un processo di semplificazione che vede bianco o nero. Nessuna scala di grigi. E la ricerca del clic, la voglia di mostrarsi coinvolti in qualcosa, il dovere schierarsi a ogni costo, spesso nascondono tranelli e curiosi cortocircuiti.

Lo spiega bene il Domani, in un commento in cui mette in risalto il tweet della responsabile esteri del Pd, Lia Quartapelle, con le foto della marcia nazionale a Kiev del 12 febbraio. Ma il discorso vale chiaramente anche al contrario, quando il supporto è per i separatisti russi e la causa del Donbass. In quegli scatti non c'erano solo cittadini innamorati della propria patria e dell'indipendenza del Paese di fronte a una minaccia della Russia, ma anche simboli di gruppi che sarebbero considerati il nemico numero uno proprio del mondo a cui il Partito democratico fa riferimento. Non c'è niente di liberale o di progressista nel battaglione Azov e in altri gruppi ultranazionalisti che da anni combattono sul suolo ucraino contro i separatisti filorussi. Alcune organizzazioni internazionali li accusano di perpetrare violenze sui civili, altri di essere legati a doppio filo a fenomeni neonazisti.

E se è pur vero che la difesa dell'Ucraina è un tema che l'Europa ha sposato senza alcun tipo di dubbio, è proprio la sintesi a ogni costo il pericolo più grave. Come del resto altrettanto fa chi ha sposato le tesi di Mosca senza provare a comprendere, d'altro canto, le posizioni di chi vede migliaia di uomini esercitarsi alla guerra ai propri confini e di chi teme una guerra che coinvolgerebbe un Paese il cui destino è deciso da un vicino più grande.

Sintesi che diventano poco credibili specialmente se poi i distinguo vengono fatti altrove, in altre circostanze e con altri nemici. E tutto appare talmente complicato e offuscato da rischiare di provocare un cortocircuito politico che non può non far sorridere. O quantomeno riflettere. I valori ideologici applicati universalmente ovunque si abbia un nemico già definito o un totem da difendere e ben identificato sono sempre a rischio. Tanto più quando ci si interfaccia in realtà estremamente complesse. È un procedimento che rischia di appannare la vista ed evidenziare pericolosi buchi interpretativi. L'errore più grande, specialmente leggendo un conflitto, è quello di lanciarsi a capofitto su una causa senza comprenderne le radici profonde. Ma è purtroppo vero che nell'epoca del tweet e della ricerca perenne di appartenenza virtuale a cause mondiali è spesso difficile lasciare spazio ad analisi e approfondimento. Si è "filo-qualcosa" e tanto basta. Pro o contro. Amici e nemici. Fedelissimi ultrà di cose o leader molto spesso per convinzioni che esulano dal contesto. Spesso chiudendo gli occhi di fronte ad alcune questioni su cui si applicano valori "a fisarmonica", allargati o ristretti in base alle circostanze. Nazionalisti che tifano imperi, e internazionalisti che tifano milizie nazionali. Progressisti che si alleano con reazionari e viceversa.

Sostegno dei laici a fanatici religiosi e "anti-qualcosa" che si rivelano sostenitori del loro più antico nemico.

È la cultura della semplificazione: che forse dovrebbe lasciare lo spazio all'analisi. Almeno nelle cose più grandi di noi.

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