Come funziona il "tetto" ai prezzi dell'energia in Spagna e Portogallo

Spagna e Portogallo hanno giocato con attenzione la partita dei tetti ai prezzi del gas. E ora godono di mercati elettrici meno fragili e di bollette più basse per i cittadini

Pedro Sanchez (a sinistra) e Antonio Costa (a destra), primi ministri di Spagna e Portogallo
Pedro Sanchez (a sinistra) e Antonio Costa (a destra), primi ministri di Spagna e Portogallo

Nella tempesta energetica che sta travolgendo l'Europa, Spagna e Portogallo sono delle eccezioni positive: nel mercato iberico da gennaio a oggi l'elettricità si è dimezzata da oltre 280 a poco più di 140 euro al megawattora, valori di oltre un quinto inferiori ai prezzi toccati in contesti come quelli di Francia, Germania e Italia per i mercati ordinari, mentre quelli a medio-lungo termine hanno già sfondato il valore di mille euro al MWh. La Spagna e il Portogallo non sono stati travolti dallo tsunami dei prezzi perché già dalla primavera hanno introdotto meccanismi di tetto ai prezzi che funzionano, ad oggi, in forma virtuosa.

Forti della ridotta interconnnessione ai mercati del gas che portano in Europa il gas dalla Russia via gasdotto, di un'ampia porzione di generazione affidata alle rinnovabili e dell'attenta programmazione dei governi socialisti e anti-austerità di Pedro Sanchez e Antonio Costa, che hanno colto in tempo le implicazioni della crisi energetica, Spagna e Portogallo hanno già iniziato tra aprile e maggio, prima ancora che Mario Draghi proponesse un analogo tema a livello europeo, a parlare con l'Unione Europea di un tetto al gas.

A maggio è stato definito un un meccanismo temporaneo, della durata di dodici mesi, che a partire dal primo giorno di giugno impone un tetto al prezzo del metano consumato dalle centrali elettriche della penisola iberica. Sostanzialmente, il “tetto” viene prodotto stabilendo un prezzo di riferimento del gas di 40 euro a MWh per sei mesi, che nel corso dell’anno quel salirà poi a 50 euro. Spagna e Portogallo hanno ottenuto tale via libera in una fase in cui, dopo la fiammata legata allo scoppio della guerra in Ucraina, il prezzo del gas era sceso a 90-100 euro per MWh.

La Ue aveva per mezzo della Commissione riconosciuto la “eccezione” iberica caratterizzata da bassissimi livelli di interconnessione energetica con il resto del Continente, pari a circa il 3% dei consumi totali. L'isolamento energetico rendeva da un lato complesso per la Spagna e il Portogallo agganciarsi alle forniture in forma crescente mentre la crisi del caro bollette si faceva via via più dura per le famiglie e le imprese della Penisola Iberica e dall'altro meno esposto alla guerra energetica della Russia il mercato dei due Stati. Bruxelles ha valutato che la misura proposta da Sanchez e Costa non violava le norme dell’Ue sugli aiuti di Stato, in particolare per un articolo del trattato “che consente agli Stati membri di concedere aiuti a imprese o settori specifici per porre rimedio a un grave turbamento dell’economia”. La risposta di Madrid e Lisbona è stata definita appropriata e proporzionata, complice la durata temporanea per dodici mesi (scadrà il 31 maggio 2023).

I governi di Spagna e Portogallo pagano ai produttori la differenza tra il prezzo Ttf della borsa di Amsterdam del gas naturale e la quota di tetto, e vista la ridotta dipendenza dall'oro blu (19,8% del mix energetico per la generazione elettrica per la Spagna e 24% per il Portogallo) rispetto ai picchi di Paesi come Germania e Italia in sostanza il costo del sussidio è inferiore alle spese necessarie in altri Stati per ristorare i settori travolti dalla crisi energetica sul fronte delle bollette.

La misura costerà a Spagna e Portogallo 8,4 miliardi di euro e avrà l'effetto di abbattere in forma continuativa il prezzo dell'elettricità, che rispetto al resto d'Europa viaggia come detto a livelli estremamente più bassi. E questo vuol dire liberare, con una cifra che appare sostanzialmente gestibile, risorse per sostenere l'economia, le imprese, la crescita. La Germania ha speso sino ad ora 60,2 miliardi di euro contro il caro-energia, l'Italia 49,5, la Francia 44,7 e, fuori dall'Ue, il Regno Unito è a 44,3. La Spagna, quarta economia dell'Eurozona, è fino ad ora ferma a 27,3, per fare un paragone. E in vista dell'inverno freddo che aspetta l'Europa la sensazione è che il divario si amplierà ulteriormente. La proposta iberica è stata ritenuta da Mario Draghi, a inizio estate, l'unica via sensata per procedere a una politica europea comune e vincente. "Quando Draghi ha proposto l’estensione a livello europeo del tetto al prezzo del gas" garantito a Spagna e Portogallo con le medesime modalità, nota Il Sussidiario, "la risposta è stata sostanzialmente “nein”: l’Italia aveva lanciato la proposta di fissare a 80 euro il tetto massimo, da assestarsi sui 60 euro nel corso del tempo. I Paesi del Nord però si sono opposti in quanto l’introduzione del tetto altererebbe l’attuale mercato libero". Ma proprio la distorsione sostanziale dei meccanismi di mercato, ironia della sorte, è stata la causa del caos odierno.

Pensiamo alle interruzioni improvvise delle forniture russe, alla ventilata speculazione sui prezzi, alla guerra politica sulle forniture che si sono scaricate sul precario mercato finanziario del gas che prezza l'oro blu europeo: non sono forse meccanismi distorsivi del mercato? L'Europa se ne è resa conto troppo tardi e l'idea di buon senso di Draghi, che Emmannuel Macron da Parigi sosteneva, è caduta nel dimenticatoio di fronte alle rimostranze dei nordici per troppe settimane, salvo tornare in evidenza alla fine dell'estate dopo che la corsa dei prezzi è arrivata a un climax ascendente e a farne le spese è stata la Germania, tra le meno convinte dell'estensione del piano Sanchez-Costa su scala europea. Nella crisi energetica le cicale sono nordiche e le formiche mediterranee e sudeuropee.

E la natura vincente delle politiche iberiche insegna che nulla è da dare per scontato nella crisi energetica in atto. Ma che forse è troppo tardi per evitare, in molti Paesi, danni rovinosi che si potevano prevedere in tempo.

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