I soldi (sporchi) della jihad

L'Isis prospera grazie al contrabbando di petrolio, ai rapimenti e alle donazioni: viaggio nella finanzi (criminale) del Califfo

Abu Bakr Al Baghdadi, in una rara immagine che lo ritrae in moschea a Mosul
Abu Bakr Al Baghdadi, in una rara immagine che lo ritrae in moschea a Mosul

Contanti, greggio e contrabbando. Tutto gestito al di fuori dei canali bancari legali. Il corridoio meridionale turco, il corridoio nordoccidentale iracheno e il corridoio nordoccidentale siriano sono i passaggi (non segnati) che riforniscono le casse dello Stato islamico. È così che, ogni giorno, viene finanziata la jihad dei sanguinari miliziani islamici che terrorizzano l'Occidente. "Servono enormi somme di denaro per sostenere gli otto milioni di persone che vivono nei territori conquistati dai jihadisti - spiega il direttore dell'Iraq energy institute di Baghdad, Luay al Khatteeb - l'organizzazione finanzia decine di migliaia di miliziani, impegnati in guerra da mesi, e ogni giorno accoglie nuove reclute. Eppure riesce a tenerli tutti sotto controllo, si muove con estrema facilità tra una frontiera e l'altra, e non sembra mai essere a corto di fondi o carburante".

In una inchiesta sulle finanze del Califfato, Newsweek mette a nudo il traffico jihadista che, grazie al contrabbando di petrolio e reperti archeologici, ai rapimenti e alle donazioni private, riesce a mantenere una organizzazione del terrore capace di "guadagnare" fino a sei milioni di dollari al giorno. "Lo Stato islamico ha accumulato ricchezze con una velocità senza precedenti - spiega David Cohen, sottosegretario al terrorismo del dipartimento del Tesoro Usa - le sue fonti di reddito hanno una configurazione diversa rispetto a quelle di altre organizzazioni terroristiche". L'Isis non dipende, infatti, dai trasferimenti internazionali di denaro, ma da attività criminali e terroristiche locali. In testa a tutte la produzione e la vendita di risorse energetiche confiscate. Seguono le tasse, le estorsioni dei civili locali, il sequestro di conti bancari e patrimoni privati, i rapimenti e il contrabbando di reperti archeologici. Infine, non bisogna dimenticare le donazioni e i finanziamenti di ricchi stati petroliferi come Arabia Saudita, Qatar e Kuwait. Da questi Paesi, nel giro degli ultimi due anni, sono arrivati ben 40 milioni di dollari. Queste donazioni sono fatte passare sotto forma di aiuti umanitari: enti benefici non registrati si accordano sui punti di consegna usando la funzione di localizzazione di WhatsApp.

Lo Stato islamico preferisce pagamenti in contanti o armi. "Il denaro o le armi di solito entrano in Siria attraverso il confine turco, che è meno pericoloso - spiega Haras Rafiq della Quilliam foundation - entrare in Iraq o in Siria dal confine saudita è più difficile perché ci sono più controlli". Oltre alle donazioni i miliziani, per foraggiare la guerra e il terrorismo, depredano le banche dell'intera area. Secondo una stima approssimativa che conta il sequestro degli istituti di Mosul e Tikrit, avrebbero sequestrato contanti per 1,5 miliardi di dollari. A Raqqa, invece, hanno aperto una dogana per tassare tutte le merci (medicinali compresi) che entrano ed escono dalla città. Un occhio di riguardo viene garantito ai reperti archeologici che quotidianamente vengono contrabbandati dai 12mila siti archeologici dell'Iraq. "È il saccheggio delle radici dell'umanità - spiega Abdulamir al Hamdani della Stony Book University - i jihadisti scavano nei santuari, nelle tombe, nelle chiese, nei palazzi e nei siti archeologici. Vendono gli oggetti e distruggono il resto". I manufatti più venduti sono le tavolette manoscritte a caratteri cuneiformi, ma c'è mercato anche per bassorilievi, cilindri d'argilla e sculture.

Anche il contrabbando delle materie prime è piuttosto florido. In primis, il petrolio. Poi il grano, l'orzo, il riso e il bestiame. Infine, gli esseri umani. Come spiega Newsweek, tra le conquiste più importanti dell'Isis ci sono sicuramente gli impianti di Hamrin, dove possono contare su 41 pozzi, e Ajil, dove sono attivi 76 pozzi. Poi ci sono i siti petroliferi di Sfaya, Qaiyara, Najma, Jawan, Qasab, Taza e Tikrit. "Il gruppo ha almeno 40mila combattenti e centinaia di veicoli - spiega al Khatteeb - in più deve produrre carburante a sufficiente per la popolazione locale". Per questo gli servono tra i 70mila e gli 80mila barili di petrolio raffinato al giorno. Tutto il resto viene acquistato esternamente (anche dai "nemici" curdi). Secondo l'intelligence americana, però, a lungo andare il Califfato potrebbe avere grossi problemi con la manutenzione dei giacimenti, l'estrazione del petrolio e la raffinazione del greggio.

Nel bilancio va poi tenuto conto la tratta di esseri umani. Il principale approvvigionamento arriva sicuramente dagli ostaggi occidentali. "Steven Sotloff non è stato ucciso per motivi religiosi, e James Foley e Alan Henning non sono stati uccisi per motivi politici - spiega una fonte dell'intelligence americana - sono stati uccisi perché le richieste economiche dei jihadisti non erano state soddisfatte". I riscatti per i sequestri di persona ammontano al 20% delle entrate dei miliziani, ma non sono solo gli stranieri a essere rapiti. Le donne, per esempio. Le yazide, le sciite e le turcomanne sono costrette a sposarsi o a prostituirsi.

Il meccanismo è semplice: o si convertono all'islam per poi essere vendute come mogli oppure diventano schiave sessuali. Infine ci sono le persone semplici per le quali arrivano a chiedere riscatti tra i 500 e i 200mila dollari.

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