In Nordafrica c’è un Paese che a differenza dei suoi vicini è riuscito in questi anni ad isolare il terrorismo di matrice jihadista: l’Algeria del presidente Abdelaziz Bouteflika. In realtà questo ha già conosciuto nel passato la violenza degli attentati in una guerra civile (1991-1999) tra i partigiani del Fronte Islamico di Salvezza (Fis) e i nazionalisti del Fronte di Liberazione Nazionale (Fln). All’indomani delle elezioni presidenziali del 1991, quando il governo rifiutò di riconoscere la sorprende vittoria del leader radicale Abbassi Madani, nacque il Movimento Islamico Armato (Mia) per opera di Mansour Meliani e di Abdelhak, un gruppo terrorista nel quale confluirono i reduci della guerra in Afganistan ed addestrati nei campi alla frontiera col Pakistan (molti dei quali costruiti dai americani in chiave anti-sovietica). Alleatosi con il Fis nella lotta contro i nazionalisti algerini, il MIA organizzò tutta una serie di attentati dentro e fuori i confini nazionali fino a quando i due movimenti non furono definitivamente sradicati dal Paese in una guerra fratricida durata otto anni dove morirono circa 60mila persone.
Con l’elezione di Abdelaziz Bouteflika nel 1999 – leader erede di una corrente nazionalista e anti-colonialista che formò un governo di riconciliazione nazionale riuscendo in poco a tempo a ritagliarsi un ruolo di primo piano nell’intera regione – l’Algeria era riuscita a porre fine al conflitto e a condurre una guerra senza sosta all'islamismo radicale di matrice jihadista attraverso una forte militarizzazione del territorio.
Così mentre i Paesi vicini, Marocco, Tunisia e Libia, subiscono da un decennio la violenza dei kamikaze e delle autobombe (l’ultimo attentato a Tunisi dove sono morte più di 20 persone risale a ieri, è saltato in aria il bus con la guardia presidenziale), l’Algeria è riuscita ad arginare la minaccia. A raccontare la strategia aggressiva quanto efficace è stato alla radio nazionale Mohamed Talbi, direttore generale delle libertà pubbliche e per gli affari giuridici presso il ministero dell’Interno. “Rispetto agli altri della regione siamo meno interessati dal fenomeno del reclutamento dei giovani nelle organizzazioni terroristiche internazionali”, ha spiegato. Secondo Talbi i giovani algerini che hanno raggiunto i gruppi terroristici all’estero sarebbero in numero inferiore alle cento unità, affermando come sia stato “istituito presso il dicastero della Difesa un meccanismo che consente lo scambio di informazioni tra le istituzioni coinvolte nella lotta al terrorismo e, quindi, in grado di prevenire l’indottrinamento di giovani”.
“Questo meccanismo individuando canali di passaggio ha mostrato risultati positivi e incoraggianti”, ha assicurato il funzionario, aggiungendo che il reclutamento dei giovani, che definisce “vittime” bisognose di protezione, “avviene principalmente sui social network e questo rappresenta un problema per l’intera società, proprio per questo l’Algeria ha recentemente rafforzato il sistema di monitoraggio online”. Annunciando “risultati positivi e incoraggianti grazie al controllo delle comunicazioni dei reclutatori che vivono all'estero” sono state avanzate infatti anche proposte di modifica al codice di procedura penale per consentire alle autorità competenti, di essere più efficaci nel contrasto del reclutamento on-line.
Per quanto riguarda invece la raccolta fondi nelle moschee, che conta cifre consistenti, (tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 sono stati raccolti circa 51 milioni di euro) emerge l’importanza della tracciabilità dei fondi”, ha detto assicurando tuttavia che la questione è “sotto controllo”, sottolineando che le autorità algerine hanno inviato alle moschee “istruzioni molto rigorose sulla raccolta fondi”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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