Dal titolo alla grafica del video, dalla tuta arancione dell'ostaggio al coltello del boia, tutti i dettagli coincidono con quelli di una lunga serie di video già visti nei mesi passati. L'Isis è tornato a farsi sentire e a minacciare l'esecuzione di un occidentale. E questa volta a parlare sono i jihadisti del Sinai.
Gli uomini che si facevano chiamare gli Ansar Bayt al-Maqdis, i "partigiani di Gerusalemme", nel 2014 hanno prestato giuramento al sedicente Califfo di Raqqa, Abu Bakr al-Baghdadi, diventando uno dei molti gruppi riconosciuti come direttamente legati all'Isis.
Oggi, in un filmato diffuso sui social network, hanno minacciato di uccidere un uomo di origini croate, impiegato in Egito della Compagnie Générale de Géophysique (CGG), che lavora per compagnie del settore petrolifero. Il rapimento risale al 22 luglio, quando era stato catturato al Cairo da un gruppo di uomini armati, che lo avevano costretto ad abbandonare la sua automobile.
L'uomo, 30enne, è sposato e ha due figli. I jihadisti che lo hanno preso in ostaggio minacciano di ucciderlo, come molti prima di lui. E pongono le loro condizioni al governo egiziano, impegnato in questi giorni nell'inaugurazione di un nuovo tratto del Canale di Suez, che domani verrà presentato ufficialmente al mondo.
Nel filmato, in cui il croato parla in inglese, con alle spalle un estremista armato di coltello, una richiesta piuttosto generica: quella di liberare le prigioniere donne che si trovano nelle carceri egiziane. Alle autorità vengono date 48 ore per esaudire le richieste, prima che avvenga l'esecuzione.
L'ultimatum ricorda quello a dicembre fu dato per la liberazione del giornalista giapponese Kenji Goto. Allora l'Isis pretendeva la liberazione di Sajida al-Rishawi, sorella di un defunto luogotenente di al-Zarqawi. A essere diversa è la portata della richiesta.
Il rilascio delle "prigioniere donne" voluto dai jihadisti questa volta è una questione tutta egiziana che tradisce un obiettivo diverso dello Stato del Sinai, se non il tentativo di avvicinare il pubblico alla propria causa. Importante notare anche il rapimento avvenuto tra le vie del Cairo, fuori dalla "zona di comfort" degli estremisti.
L'instabilità del Sinai
L'area del Sinai, dove i jihadisti egiziani hanno le loro basi, continua a essere una zona di grande instabilità. Dal 2013 le forze armate egiziane hanno lanciato un'operazione anti-terrorismo che non è però ancora riuscita a riportare la pace.
A inizio luglio i militanti hanno lanciato un assalto in grande stile contro la città di Sheikh Zuweid, sulla strada che porta al valico per Gaza. Poco chiaro il bilancio delle vittime. Fonti militari parlano di diciassette soldati e un centinaio di militanti uccisi, ma c'è chi conta molti più morti tra i soldati.
La bozza di una nuova legge anti-terrorismo, molto criticata e pensata dopo l'uccisione del procuratore generale Hisham Barakat al Cairo, vorrebbe imporre ai media locali di raccontare i fatti basandosi unicamente sulla
versione ufficiale dei fatti. Gamal Eid, direttore dell'Arabic Network for Human Rights Information (ANHRI), ha detto ad Al-Monitor che legge "trasformerebbe i giornalisti in meri ripetitori dei dati ufficiali di Stato".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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