Viaggio nella testa di Hamas: "Amiamo la morte"

Una strategia della paura finalizzata a mantenere il potere

Viaggio nella testa di Hamas: "Amiamo la morte"

«Noi amiamo la morte molto di più di quanto voi amiate la vita»: questa frase misteriosa e spaventevole perseguita europei, americani, israeliani, e da queste parti è pane quotidiano. Gli attacchi terroristici suicidi come quelli di ieri ne testimoniano la forza.

È la bandiera nera dell'Islam militante, il suo breviario, come per la cultura ebraico-cristiana è la frase biblica: «Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te». A volte ci piace pensare che sia una formula retorica, ma essa ha ricevuto di nuovo l'ennesima conferma con la rottura della tregua venerdì scorso: mentre il Cairo promuoveva i colloqui di pace, un terrorista suicida a Rafah spuntava da una galleria, saltava per aria e uccideva tre soldati di Tzahal, tentando il rapimento di Hadar Goldin. Questo mantra oggi, dopo che Hamas ha deciso di separarsi con la rottura della tregua dalla maggioranza delle nazioni, sembra il disegno programmatico enunciato in un video tv da Mohammed Deif, il capo religioso e militare di Hamas, 36 anni, carriera di omicida di donne, bambini, civili israeliani a centinaia.

Deif è uno dei tre leader che hanno osato parlare: Khaled Mashaal dagli alberghi a 5 stelle del Qatar; Ismail Haniyeh dal suo nascondiglio, si dice, sotto l'ospedale Shifa. Il capo delle Brigate Izz al Din al Kassam ha usato, a differenza di Mashaal e Haniye che si disegnano come politici, la voce pretesca dei leader dell'Islam radicale. Il boss che guida con pugno di ferro 15mila uomini, paragonabile ai leader dell'Isis e di Jabhat al Nusra, mutilato perché più volte le forze israeliane hanno tentato di eliminarlo, ha minacciato e promesso morte, citato il Corano con fervore messianico.

Il suo video è stato preannunciato dal filmato dell'attentato che tramite una galleria presso il kibbutz Nahal Oz ha ucciso cinque soldati israeliani. Deif nel video annuncia la vittoria di Hamas, dichiara che non ci sarà cessate il fuoco prima della fine dell'assedio, poi alza il tiro: «Siete destinati al sicuro disastro, avete trovato a Gaza il vostro inferno, noi amiamo la morte più di quanto voi amiate la vita». Che significa questa dichiarazione, nell'isolamento che caratterizza in questi giorni Hamas? Pinhas Inbari, studioso dei palestinesi presso il prestigioso think tank Jerusalem Centre for Public Affairs fornisce il retroscena: «Il messaggio di Deif è anche rivolto all'interno di Hamas. Deif è una figura legata all'Iran, che fino a pochi giorni fa ha taciuto ritenendo che Hamas stesse sprecando la grandiosa quantità di missili che con molto sforzo è riuscita a procurarle negli anni. Gli ayatollah erano arrabbiati da tempo con la leadership di Khaled Mashal, nemico di Assad e degli iraniani. Deif invece milita dalla parte opposta di Assad. Ma poi, ecco la dichiarazione di Khamenei, condita dalle solite minacce di morte a Israele: noi abbiamo fornito gratis le armi a Hamas. L'Iran cioè ha capito che questa è una guerra egemonica per lo schieramento antisraeliano, il suo, e inoltre i suoi nemici giurati, Egitto e Arabia Saudita, stanno giuocando un ruolo troppo importante. Così l'Iran ha spinto avanti Deif, coronato dal successo dell'attentato».

Dunque, da ora in poi, l'Iran sarà sempre più presente, e «certo ha avuto un ruolo negli ultimi sviluppi».

L'americano Harold Rhode, uno dei migliori mediorentalisti della scuola di Bernard Lewis, che ha servito per decenni nel team di analisti del Pentagono, fornisce la chiave: «C'è qui una doppia ragione. Lo scopo principale del terrorismo, quindi di Hamas, è terrorizzare, istillare la paura nel nemico, metterlo in fuga prima della battaglia. Ma con le sue parole Deif rivela le grandi difficoltà in cui si trova Hamas, la perdita di molti leader, di strutture belliche fondamentali, gallerie, missili, rifugi. C'è anche uno scopo interno: i cittadini di Gaza, schiavi, carne da cannone, ormai consapevoli che tutti i soldi sono stati spesi per costruire gallerie e stipare missili, devono essere tenuti buoni. Hamas ha condannato a morte anche molti palestinesi, e li ha giustiziati. Alla fine, Hamas sa che non può sconfiggere Israele, e quindi cerca di mettere in fuga i soldati e i civili terrorizzandoli».

Rhode è ironico e definitivo: «In realtà loro non amano la morte, ma il potere. Non si è mai visto un loro comandante che guidi la battaglia, si nascondono e usano i civili, colpiscono uscendo dalle gallerie e poi fuggono, la leadership è nascosta sotto gli ospedali. Quando dicono «amiamo la morte» comunicano anche questo concetto: «Sono terribile, se non mi dai qualcosa per farmi smettere (ovvero, in questo caso, una tregua vantaggiosa) ti distruggo». Deif ha parlato anche perché teme di perdere il potere. Vogliono la tregua alle loro condizioni: potere, aiuti, controllo delle vie di accesso».

La realtà è che la tattica «noi amiamo la morte» e quindi la rottura della tregua ha avuto per ora il risultato di disgustare le forze moderate e di squalificare gli alleati Qatar e Turchia. Hamas sembra aver fatto male i conti: Israele procede nel distruggere le gallerie, ha il sostegno di Usa e Onu nel farlo, è passato il concetto che Hamas non è un interlocutore per la pace.

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