"Niente panico e foto": ecco come sopravvivere a un attacco jihadista

L'esperto: "Collaborare coi terroristi e col telefonino lanciare un sos senza parlare. Niente panico e non scattare foto"

"Niente panico e foto": ecco come sopravvivere a un attacco jihadista

Gli attacchi a Parigi hanno messo in luce la nuova strategia dei terroristi dell'Isis, che non ha nel mirino solo gli obiettivi cosiddetti «sensibili», ma i luoghi di ritrovo e di svago della gente comune. Questo rende imprevedibile il luogo di un possibile attentato e più devastanti le conseguenze in termini di vite umane. Come bisogna comportarsi se ci si trova in un locale pubblico (scuola, teatro, ristorante o altro) preso d'assalto da un gruppo di terroristi? E come affrontare l'eventuale blitz delle forze speciali? Lo abbiamo chiesto a un alto ufficiale delle teste di cuoio italiane, che per motivi di sicurezza intende mantenere l'anonimato.

«Ci sono delle regole auree, anche se non è facile gestire il panico: è importante non urlare, lamentarsi troppo o fare gesti inconsulti. Anche i terroristi sono sotto pressione e hanno il grilletto facile, se si sentono provocati o infastiditi. Infine, non scappare se si ha la sfortuna di essere loro vicino. Insomma, non mettersi in mostra, cercare di essere invisibili, la situazione potrebbe allungarsi per ore». Qualche altro accorgimento? «Chiamare il numero di emergenza col telefonino, se si è sicuri di non essere visti, ma senza parlare. Abbandonare il cellulare con la comunicazione aperta, dall'altro lato potranno acquisire informazioni utili. Ed evitare assolutamente di scattare foto o girare video». Bisogna sempre obbedire alle richieste dei terroristi? «Bisogna essere accondiscendenti nei limiti del possibile. Loro tenteranno di ammassare gli ostaggi per poterli controllare, se si riesce a evitarlo senza rischi è meglio, ma senza mettere a repentaglio la propria vita. Altrimenti, buttarsi a terra e tenere la testa bassa anche per evitare eventuali colpi sparati ad altezza uomo».

C'è un posto più sicuro o meno rischioso in cui mettersi in una sala? «Dipende. Se l'assalto dei terroristi è appena iniziato e si è vicino a una via di fuga è logico approfittarne. Va bene infilarsi nella botola per scendere nel sottopalco di un teatro o in altri nascondigli. Ma non tutti i contesti sono uguali. Comunque, bisogna cercare di stare più lontano possibile dalla minaccia». Porte e finestre sono pericolose? In caso di blitz delle teste di cuoio non diventano luoghi a rischio? «Porte e finestre possono essere i punti d'ingresso per un blitz e quindi è probabile che i terroristi mettano gli ostaggi proprio là. Ma sono pericolose, anche se l'irruzione delle teste di cuoio avvenisse in altro modo perché potrebbero essere usate come diversivo».

E nel caso un ostaggio riesca a fuggire all'esterno? «L'importante è uscire con le mani sulla testa, è il segno più evidente che non si è armati, e seguire con attenzione le istruzioni degli addetti all'evacuazione. Poi, fornire informazioni, se è possibile, come il numero dei terroristi, le armi, come sono vestiti, che lingua parlano...». Durante il blitz delle forze speciali come deve comportarsi un ostaggio per non essere scambiato per terrorista? «Sdraiarsi a terra con le mani sulla testa ed eseguire ciecamente le indicazioni degli agenti. Non protestare o fare gesti inconsulti se ti ammanettano o ti legano i polsi con delle fascette o ti trattano bruscamente. Bisogna attendere con pazienza. Finché le forze di sicurezza non identificano e neutralizzano le minacce non possono agire diversamente».

Quali sono le priorità degli agenti quando fanno un'irruzione? «Finora era prioritario tutelare l'ostaggio piuttosto che neutralizzare la minaccia. Ma, in caso di attacchi come quello di Parigi, è più importante abbattere la minaccia perché se un terrorista si fa saltare con una cintura esplosiva le conseguenze possono essere più devastanti». Gli attentatori di Parigi hanno circolato liberamente in Europa, soprattutto tra Francia e Belgio, nonostante fossero sotto osservazione. «Aumentare i controlli è un compito che spetta alla politica. Negli Usa dopo l'11 settembre hanno approvato il Patriot Act, che consente tutte una serie di misure, anche preventive, per fronteggiare le minacce. In Europa, invece, sono anni che si discute sulla difesa della privacy, anche se oggi la maggioranza dei cittadini appare più ben disposta a qualche limite della libertà in cambio di maggiore sicurezza».

E nel caso degli attentati in Francia che cosa non ha funzionato? «Per tenere efficacemente sotto osservazione un sospetto, parliamo d'intercettazioni, cimici, gps, internet o pedinamenti, sono necessarie 30 persone.

In Francia ci sono più di 2mila sospetti, quindi servirebbero 60mila persone addestrate, e non dei semplici agenti, impegnate solo in questo compito. Diventa quasi impossibile. Poi non c'è una banca dati comune, alla quale tutti i servizi d'intelligence possano accedere. Da qui si comprende perché qualcosa non abbia funzionato».

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