La tregua è finita Hamas ora spara per frustrazione

Respinte le loro pretese, i palestinesi puntano a una guerra di logoramento. Al Cairo estremo tentativo di ricucire

La tregua è finita Hamas ora spara per frustrazione

Gerusalemme Sulle spiagge, nei bar di Ashkelon, mentre i bagnini si ungevano i muscoli, i soldati si facevano la doccia e i genitori sceglievano un libro da leggere sulla terrazza a Beersheba gustando il piacere del figlio tornato da Gaza, hanno cominciato a inseguirsi, più di 50, le sirene in tutto il sud di Israele. Hamas ha rifiutato di continuare a sospendere il fuoco. Quando alle 5 di mattina il primo lancio ha provato che Hamas non accettava di prolungare la tregua di 72 ore e quando alle 8, al termine dell'accordo, Ashkelon è stata colpita, allora tristi, increduli, gli israeliani hanno cominciato a svuotare i centri commerciali, le spiagge. Mentre da noi la Farnesina raccomandava «ai cittadini italiani di evitare i viaggi nelle aree situate entro un raggio di 40 km dalla Striscia», un bagnino di Ashkelon faceva lo sbruffone: «Quando è suonata la prima sirena siamo rimasti nell'acqua, siamo d'acciaio noi, nessuno ci sposterà». In un caffè sulla spiaggia dei veterani dell'esercito con le mogli sorseggiavano piano il caffè per mostrare la loro determinazione a solidarizzare col sud colpito. Ma la sensazione di delusione, su cui Hamas contava per spingere i colloqui del Cairo nella direzione desiderata, è stata pesante. I missili faceva tre feriti, una casa veniva centrata sul tetto a Sderot. Hamas ribadiva col fuoco il suo scontento: le sue richieste sono il porto, l'aeroporto, l'apertura con Egitto e Israele, il controllo delle merci, tutte cose che nessuno è disposto a concedergli. Se non gli verrà dato ciò che chiede, dicono i lanci, nessuno in Israele potrà vivere tranquillo. La sua minaccia è un tormento quotidiano, una guerra di attrizione che potrebbe durare anni.

L'esercito israeliano, ritiratosi da Gaza, non è stato stato preso di sorpresa. Rimasto ben presente nell'area, ovvero pronto anche a un'invasione di terra, ha atteso sei ore prima di rispondere ai missili alzando gli F16. Ma i raid sono stati cauti, come se ci fosse ancora l'aspettativa di una tregua prossima ventura. In Egitto, la delegazione palestinese è rimasta al completo. Fatah, Hamas, Jihad Islamica. I tre si sono consultati molto in stanze chiuse, perchè il centro della possibilità per Egitto e Israele di accettare che i valichi siano aperti all'ingresso di beni e di denaro risiede nella possibilità di Al Fatah di fungere da mallevadore e da controllore. Sembra che nelle more dei colloqui delle ultime ore sia rientrato in giuoco per un accordo definitivo anche il Qatar, l'unico da cui Hamas si senta rassicurato.

Al Jazeera, la tv di Doha, ha mostrato con enorme enfasi un documentario che mostra la Jihad islamica nel ventre di un tunnel pieno di missili, e spiega che i militanti di Gaza vogliono continuare la guerra. L'Europa per dare un suo contributo alla soluzione ha offerto di costruire una «via d'acqua» fra Gaza e Larnaca. Cipro dovrebbe secondo gli europei, diventare la porta di Hamas. Un'ipotesi audace. Audace anche la proposta di Germania, Francia e Inghilterra al generale di Sisi di diventare i controllori del passaggio di Rafiah. Il rais egiziano non sembra gradire. Di certo Israele non vuole consegnare nessuna vittoria a Hamas, ne tantomeno mettere a rischio la sicurezza dei cittadini con apertura a una organizzazione il cui intento di demolire Israele viene sempre riaffermato.

Netanyahu in queste ore viene criticato per essersene andato da Gaza prima di aver distrutto le armi di Hamas, ma non sembra avere nessuna intenzione di rientrare con l'esercito di terra. Così son fatte le democrazie: la pace è una tendenza naturale, un desiderio insito. Per le dittature, è vero il contrario.

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