Il Montana è il terzo Stato Usa a dire sì al suicidio assistito

Dopo l'Oregon e Washington anche il Montana. La decisione dopo la richiesta di un malato terminale di cancro. Ma è polemica: "I medici devono curare, non uccidere"

Il Montana è il terzo Stato Usa 
a dire sì al suicidio assistito

Prima l’Oregon, poi Washington. Ora il Montana è diventato il terzo Stato americano ad autorizzare per legge il suicidio assistito. Nonostante la Corte Suprema si sia pronunciata undici anni fa - era il ’97 - e abbia decretato che i malati terminali non hanno un diritto costituzionale che consenta loro il suicidio assistito, nulla è stato ancora fatto per fermare gli Stati che intanto stanno legalizzando una pratica tanto discussa negli Stati Uniti come in Europa.

Il giudice Dorothy McCarter ha emesso la sentenza - un precedente che fa giurisprudenza - in seguito al caso di Robert Baxter, 75 anni, ex camionista e malato terminale di cancro, che ha deciso di fare la sua battaglia al fianco di quattro medici che si occupano regolarmente di pazienti in fase terminale e un gruppo non profit, «Compassion & Choices» che difende i diritti del malato. Il magistrato ha stabilito che «il diritto del paziente di morire in maniera dignitosa comprende la tutela dei medici dalla responsabilità prevista dalle leggi per omicidio». E ancora: «I diritti costituzionali del Montana relativi alla privacy e alla dignità umana comprendono il diritto di un malato terminale a morire con dignità».

Lui, Robert, il paziente che ha avviato questa battaglia, ha accolto la decisione come una liberazione per sé e per altri nelle stesse condizioni: «Ho visto tanta gente soffrire troppo e continuo a vederla tutti i giorni. Gli si legge negli occhi. Ti chiedono: perché mi accade tutto questo. E perché è possibile mettere fine alle sofferenze degli animali e non alle nostre?». Infine le parole più toccanti e al tempo stesso scioccanti: «Sono felice di sapere che la Corte ha rispettato la mia decisione di scegliere di morire con dignità se le mie sofferenze diventano insopportabili».

Basterà dunque una dichiarazione di intenti per mettere fine alla vita di un malato, per consentire ai medici di prescrivere farmaci che il paziente potrà tranquillamente auto-somministrarsi o perché i medici le somministrino con il solo scopo di porre fine a sofferenze insopportabili senza il rischio di incorrere in azioni penali. Una scelta che non è andata affatto a genio viceprocuratore generale, Anthony Johnston: «Le leggi che governano la professione medica stabiliscono chiaramente che si tratta di un mestiere fatto per curare non per uccidere». Nel suo ruolo di consulente giuridico del governo, l’Attorney ha insistito: la Costituzione del Montana contiene degli articoli che riguardano la privacy e la dignità, ma è chiara sul fatto che quella umana è inviolabile».

La decisione del giudice americano arriva mentre in Francia la commissione parlamentare incaricata di redigere un rapporto sull’eutanasia ha dato parere negativo sull’opportunità di introdurre questa ipotesi nella legislazione francese.

La questione non è solo etica, come si capisce dalle parole del deputato francese dell’Ump, Jean Leonetti, che ha consegnato al primo ministro François Fillon il rapporto di valutazione della legge del 2005, nel quale spiega le ragioni della scelta: queste opzioni «comportano più problemi umani o giuridici di quanti non ne risolvano».

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