La mostra I suoni «dipinti» di Giulietta Paolini

La mostra I suoni «dipinti» di Giulietta Paolini

Dipingere un suono. Ci prova, riuscendoci, Giulietta Paolini, l’artista che da giovedì espone nella nuova sede romana dell’università telematica e-Campus, in via del Tritone. «Ritmi della città» è il titolo della mostra, che presenta una ventina di dipinti (in maggioranza acrilici, alcuni con rilievi in materiale plastico e cartone) realizzati nell’arco di otto anni, dal 2000. Il percorso conduce lo spettatore nelle atmosfere della metropoli d’oggi, non necessariamente la Capitale. «Può trattarsi di qualunque città - spiega la pittrice romana, anche poetessa -. L’idea di un filone legato ai ritmi urbani e al delirio dell’uomo contemporaneo, malattia contagiosa, è nata quasi come un’esigenza. Mi esprimo relazionandomi con gli altri, ma nei grandi centri abitati si vive come in gabbie che non lasciano manifestare il nostro essere uomini». Alcune tele, appunto, hanno per soggetto il suono. «Avevo in mente le vibrazioni naturali che non siamo più capaci di avvertire, storditi da note e rumori artificiali. Un quadro che mi sta a cuore, per esempio, è “Il grido”, specie di urlo dell’anima rinchiusa, che non percepiamo se non quando accade qualcosa di irreparabile». Uno stile e una tecnica difficilmente inquadrabili, quelli di Giulietta Paolini, autodidatta, accostata da alcuni critici ai futuristi. «La mia pittura si basa sul segno e sul colore: forme circolari o ellittiche si congiungono a comunicare il concetto che siamo tutti legati uno all’altro, da un qualcosa di immateriale che ci fa sentire in relazione». Delle opere della stessa collezione già esposte nel 2003 alla Banca d’Italia, Italo Evangelisti scriveva: «Guardatele con partecipata attenzione e con amorevole abbandono, come si deve guardare la grande pittura, senza cercare di capire ma con molto da sentire». Ancora, il critico invitava a lasciarsi riempire «da quei colori forti, raggelati spesso da una luce artificiale che trasuda una livida distanza dalle pulsioni del cuore. Scolature di colori da smagliature aperte come finestre di una camera con vista sul palcoscenico di una città che ha il sentore del ferro ossidato, il respiro pesante dell’aria inquinata, la luce gialla della pioggia acida». La città cattura e soffoca il potenziale dell’essere umano («impedisce di esprimere ciò che l’uomo ha di meglio, un sorriso, la salute stessa») ma, racconta la pittrice attraverso la sua testimonianza artistica, soffriamo per così dire di una sindrome di Stoccolma.

«Ognuno di noi - conclude Paolini - ha bisogno di sentirsi prigioniero e i ritmi della città sono una sorta di alibi che portiamo avanti». Fino al 31 luglio. Università e-Campus, via del Tritone 169. Informazioni: 800.271.789.

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