Il museo del cinema diventa muto

Nella Roma «città del cinema» del sindaco-cinefilo Walter Veltroni, ex ministro dei Beni culturali, un museo del cinema riceve lo sfratto e non succede niente. Nella città di Rutelli ministro dei Beni culturali, ex sindaco, c’è la sede di un’istituzione culturale che viene venduta a una società immobiliare la quale ora, al posto del Mics di Josè Pantieri - 1500 metri quadrati di pellicole d’epoca, foto, costumi originali, cimeli donati dai divi del cinema italiano, oggetti rarissimi, da archeologia del cinematografo - vuol farci un palazzo privato, e le istituzioni non si muovono di un passo.
Lo sfratto è arrivato pochi giorni fa, dopo un’audizione alla Camera che si è conclusa con un buco nell’acqua. Il museo a Roma c’è dal 1989 ed è riconosciuto come patrimonio dello Stato dalla sovrintendenza. «Come una tomba etrusca, o un quadro di Raffaello. Ma ormai sta in piedi per miracolo», dice Josè Pantieri, storico del cinema e fondatore del museo, prima a Parigi (nel ’59), poi a Roma. Per l’esattezza, il Mics (Museo internazionale del cinema e dello spettacolo) ora è chiuso e forse non riaprirà più. Il problema è dove (e come) trasferire le migliaia di pellicole e oggetti storici custoditi, fino a oggi, nell’edificio di via Portuense. Né il sindaco né il ministro hanno risposto agli appelli del consiglio direttivo del Mics per assegnare una nuova sede al museo sfrattato. «C’è anche - dice Pantieri - un altro problema. Spostare tutto senza garanzie, senza un preciso inventario, senza un minimo di finanziamenti per la gestione e il personale è un suicidio, una farsa, una trappola».
Pantieri ha messo insieme, in quarant’anni, un patrimonio enorme di materiali, soprattutto sul cinema muto italiano, su cui organizza periodicamente una rassegna internazionale. Nelle stanze del museo sulla Portuense ci sono pezzi unici. C’è un film di 20 minuti in cui Trilussa recita quattro delle sue poesie dialettali, l’unico documento filmato esistente al mondo del grande poeta romano, girato al Pincio, nel 1930. Ci sono la bombetta di Totò regalata dallo stesso principe della risata, il costume di Giulietta Masina in Ginger e Fred, il primo disco registrato da un giovanissimo Vittorio Gassman, una cinepresa usata da Vittorio De Sica, i costumi delle prime dive del cinema muto italiano (Francesca Bertini, Elvira Notari). Ci sono i prototipi delle cineprese ancora in legno, le prime macchine per il montaggio, fondi e raccolte dei cineasti degli anni ’10 e ’20, rarità come il primo film «turistico» girato nella capitale, Un Cicerone a Roma (1905) e Mozart (1917), il primo sulla vita del compositore di Salisburgo.
In tutto cinquemila film d’epoca, due milioni di foto, migliaia di oggetti che documentano gli albori del cinema. Un patrimonio che ora rischia di finire sotto la polvere di uno scantinato. «Veltroni spende miliardi per la sua festa del cinema e a noi non dà un centesimo. Gli abbiamo mandato telegrammi, lettere, ma qui il sindaco non ha neppure messo piede. Lui e l’assessore alla Cultura Borgna sono il nostro ostacolo. Gestiscono la cultura a fini politici e personalistici, vogliono il monopolio culturale sul cinema a Roma. Molto fumo divistico e niente cultura seria. A Veltroni interessa solo portare a Roma i divi di Hollywood, dice di aiutare il cinema e poi lascia morire un museo come questo. È un venditore di parole». Pantieri, gravemente malato, aiutato solo dal vitalizio della legge Bacchelli, pochi giorni fa ha trovato dietro la porta l’avviso lasciato da un ufficiale giudiziario: sfratto esecutivo in data 20 gennaio 2007. «Ci hanno proposto un locale sotterraneo dalle parti dell’Eur. Una cantina, in pratica. Ma poi chi paga le luci, il personale, l’aria condizionata?».
Negli anni Pantieri ha ricevuto solidarietà e attestati di stima illustri, da Giovanni Pugliesi, presidente italiano dell’Unesco, ai maestri del cinema italiano. Da Federico Fellini (lettera dell’82: «Spero vivamente che gli enti pubblici si decidano a fornire gli aiuti necessari per salvare il patrimonio della cineteca. Non ti scoraggiare e vedrai che prima o poi anche in Patria troverai chi comprende e aiuta un così importante lavoro»). Da Sergio Leone (nel 1987: «Grazie per la tua opera di missionario che da anni conduci per la salvaguardia del cinema muto italiano ed internazionale»). Da Alberto Moravia (1986). «Vengono qui molti, ci dicono bravi, ma poi siamo sempre nella stessa situazione». Il ministro? «L’ho incontrato due volte ultimamente. A dicembre gli ho consegnato un dossier sullo stato di difficoltà del museo. Mi ha detto “ne riparleremo”. Ma chi l’ha più sentito dopo?». Rutelli conosce la situazione del museo del cinema di Roma, ma gli appelli al ministro non hanno avuto riscontri di nessun tipo. «È stato lui che, la mezzanotte dell’ultimo giorno della sua giunta, ha venduto il palazzo in cui stiamo. Anzi, stavamo».
Pantieri chiede per il suo Mics la stessa soluzione che ha salvato il museo del cinema di Torino. «Una legge speciale. A Torino 15 anni fa il museo aveva molti problemi. Ora, con la legge speciale, è diventato un’attrattiva per i turisti». Se questo non fosse possibile, ci sarebbe un’altra soluzione ancora. «Sono disposto a cedere tutto allo Stato.

Sono malato, ho avuto due infarti, ogni giorno prendo pillole per andare avanti. Vorrei andarmene sapendo che il museo non morirà con me. Ma chiedo solo una cosa: che non finisca nelle mani di quegli stessi che non hanno mai mosso un dito per aiutarci».
paolo.bracalini@ilgiornale.it

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