Caro Mario e cara Marina,
oggi risponderò a entrambi e spero con questo di chiudere ogni ulteriore dibattito intorno ad un tema che giudico inutile e noioso, ossia il Festival di Sanremo. Le polemiche sono rinviate al prossimo anno e saranno più o meno le stesse. Non ci sono mancate, infatti, nemmeno in questa edizione le accuse di razzismo, come Mario fa notare. Stavolta a piagnucolare sono i napoletani che, non accettando, per campanilismo, la sconfitta del proprio cantante preferito, tacciano gli organizzatori di essere disonesti, di avere barato, di avere truccato i numeri. E si dicono altresì vittime di discriminazione. Nulla è meno elegante dell'incapacità di perdere, incapacità che conduce a scagliarsi contro chiunque, a prendersela con chiunque, a cercare colpevoli, a scadere nel patetico vittimismo, che si può sintetizzare con questo pensiero: «Non ho perso perché altri sono piaciuti più di me bensì perché io sono il migliore e qualcuno ha cospirato contro di me».
E le altre decine di cantanti che allo stesso modo non si sono conquistati il podio di chi sarebbero state vittime? Da chi sarebbero state discriminate? Finiamola con questo piagnisteo disgustoso e adottiamo un comportamento dignitoso, consistente in un atteggiamento sportivo nelle competizioni. Ritengo semmai che i napoletani siano stati avvantaggiati in quanto è stata ammessa in gara una canzone il cui testo risulta essere in dialetto tipico napoletano, dunque incomprensibile e inaccessibile alla stragrande maggioranza degli italiani. E pure ci si lagna.
E ora mi rivolgo a te, Marina, a te che sostiene che noi de il Giornale saremmo antipatici e snob in quanto critichiamo il Festival che è invece amato da tanti italiani. Aggiungi che, essendo democratici, dovremmo amare e non giudicare severamente un evento musicale tanto seguito. Mi dispiace contraddirti ma, proprio perché siamo democratici, ci sentiamo liberi di esternare le nostre osservazioni in totale libertà, a prescindere dal gradimento che sia l'oggetto del dibattito sia le nostre affermazioni possono ottenere. Non ci condiziona l'idea di non piacere, come non ci inibisce dal dire la nostra il fatto che il Festival conquisti record di ascolti. Democrazia non è stare sempre con la maggioranza, bensì essa è riconoscimento della minoranza, ovvero possibilità di essere minoranza. Democrazia è anche diritto di critica, di dissenso. Quindi critichiamo Sanremo perché siamo democratici e non il contrario, cioè «non siamo democratici perché critichiamo Sanremo», come tu hai scritto.
Se per essere democratici ed esercitare la nostra sacrosanta libertà di critica ci tocca leggere da parte di una nostra affezionata, anzi «accanita», lettrice, la quale ci ritiene «antipatici», un giudizio tanto severo, accoglieremo ben volentieri l'insulto e ogni altra conseguenza, senza proclamarci vittime di razzismo.
Soddisfo la tua curiosità: non so se mi sia mai capitato di vergare un brutto articolo, ai lettori spetta tale sentenza. Mi limito a scrivere onestamente, tentando di dare il meglio di me stesso, con attenzione, con cura, con devozione.
E soprattutto con la consapevolezza piena che sono tanto libero di criticare quanto gli altri sono liberi di criticarmi. Tanto io me ne infischio comunque, sempre e in ogni caso.Grazie, Marina. E continua ad acquistarci anche se ti stiamo un pochino sulle balle.
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