L'Italia l'hanno fatta 150 anni fa. Quanto agli italiani, forse aveva ragione Massimo d'Azeglio, come popolo bisogna ancora farli. «Abbiamo molti problemi insorti dopo 1861 - ammette Giorgio Napolitano - speriamo che la ricorrenza possa stimolare un esame di coscienza collettivo». Ma l'unità, per il presidente, è ormai un dato acquisito: a tenerci insieme, oltre alla storia, c'è la lingua.
É un punto che sta particolarmente a cuore al capo dello Stato e che emerge infatti in un messaggio al presidente dell'accademia della Crusca, Nicoletta Maraschio e alla presidente dell'Asli, Silvia Morgana, in occasione di un convegno a Firenze sull'italiano e lo Stato unitario. «Se la lingua è stata espressione di una identità culturale unitaria che ha preceduto la nascita dello Stato nazionale, è pur vero che si trattava di un linguaggio scritto riservato alla popolazione colta a fronte della pluralità dei particolarismi idiomatici in uso nel Paese». L'incontro fiorentino, scrive Napolitano, «ha il merito di proporre una approfondita riflessione» attraverso «l'analisi degli interventi dalle classi dirigenti del Regno e della Repubblica per trasformare una lingua elitaria in una lingua scritta e parlata in tutta la penisola». Gli approfondimenti «saranno punto di riferimento per l'iniziativa che il Quirinale intende promuovere nel prossimo anno nell'ambito delle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario».
E in un'altra lettera, spedita agli organizzatori del convegno «La Nazione vissuta e la Nazione narrata», il capo dello Stato torna sull'argomento. «Ho più volte preso la parola sul tema del percorso dell'unificazione, per tenere fede al mio ruolo istituzionale di rappresentante dell'unità nazionale. In tali occasioni, ho ribadito l'auspicio che la ricorrenza possa stimolare un esame di coscienza collettivo». Da un lato occorre «tenere ferma una matura consapevolezza del comune patrimonio storico dell'Italia», dall'altro «non ignorare le problematiche insorte nel dibattito sulla formazione dello Stato unitario».
Parole condivise dal presidente della Cei Angelo Bagnasco, nel corso del forum dei vescovi sui 150 anni dell'Italia. «Nel terreno fertile dello stare insieme - sostiene Bagnasco - si impianta anche un federalismo veramente solidale, fatto di stima e rispetto, di simpatia, di giustizia, di attenzione operosa e solidale verso tutti, in particolare verso chi è più povero, debole e indifeso».
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