Napolitano boccia il federalismo dell’Ulivo: «Testo da correggere»

Il presidente auspica «soluzioni condivise» per migliorare la legge costituzionale approvata dalla maggioranza nel 2001: «Non funziona»

Massimiliano Scafi

nostro inviato a Bari

Ritoccare, rivedere, «riformare». Addirittura, «correggere». Alla Fiera del Levante, Giorgio Napolitano parla del Titolo V della Costituzione e certo non fa tanti giri di parole: quella legge approvata nel 2001 dall’Ulivo, così com’è, non funziona. È vero, è sopravvissuta al «no» al referendum sulla riforma della Cdl. Ma rimetterci comunque le mani sopra, trovando ovviamente «soluzioni condivise», è cosa «auspicabile nell’interesse complessivo del Paese». E poi, «compito urgente e ineludibile», secondo il capo dello Stato, è anche attuare finalmente il federalismo fiscale, in una cornice «conseguentemente cooperativa e solidale, nello spirito della Carta del 1948». Tutto ciò, spiega, servirebbe a evitare «il danno di una disputa tra le Regioni», a contenere la spesa pubblica e pure a «combattere fenomeni di spreco da congestione istituzionale e di dilatazione del costo della politica». Insomma, più decentramento e meno sprechi.
Sotto gli occhi del presidente c’è il caso degli stipendi d’oro di alcuni manager di Stato e anche quello del Comune di Taranto: 500 milioni di euro di debiti, amministrazione commissariata, arresti a raffica. «Vanno seriamente considerate - dice - innegabili esigenze di razionalizzazione e semplificazione, di fronte a duplicazioni e confusioni di responsabilità e di poteri, a moltiplicazioni di istanze decisionali e di enti derivati e quindi di incarichi elettivi e non elettivi retribuiti in modo non giustificato».
Rigore, moralità, risparmi e «una corretta utilizzazione delle risorse pubbliche», questi potrebbero dunque essere gli effetti positivi di un federalismo solidale, ben temperato. Una semplificazione porterebbe inoltre «una più alta capacità di realizzazione delle politiche e dei programmi di sviluppo». Il clima politico è quello che è, le previsioni non sono buone, eppure, insiste Napolitano, l’intesa su certi argomenti è a portata di mano. «Il confronto per larghe intese sui temi istituzionali è all’ordine del giorno. Attuare le prescrizioni dell’articolo 119 in chiave di federalismo fiscale sancito con la riforma del Titolo V è urgente ineludibile, nel tempo stesso in cui si verifica la possibilità di soluzioni condivise per la correzione della legge del 2001».
Mercoledì, prima di volare qui in Puglia, il capo dello Stato ha ricevuto al Quirinale Franco Marini e Fausto Bertinotti per fare il punto della situazione alla ripresa dopo l’estate. I presidenti di Camera e Senato gli hanno squadernato davanti una agenda parlamentare fitta di probabili motivi di scontro tra maggioranza e opposizione. Dalla cancellazione della riforma Castelli della giustizia al riordino del Csm, dal conflitto di interessi alle leggi di bilancio. Alle orecchie di Napolitano buone notizie sembrano arrivare solo dalla politica estera, con il voto in commissione di Fi e An a favore della missione in Libano. «Ho appena constatato in Francia, nell’incontro con il presidente Chirac, le ragioni di fiducia nel ruolo che l’Italia ha assunto e che le è stato riconosciuto». Per questo lui a Bari adesso insiste nella ricerca ostinata di punti di incontro e di mediazione tra i due poli.
Come appunto la questione sempre aperta del riassetto istituzionale. La chiave dunque è un rilancio del federalismo. Però attenzione, quello che occorre è un «federalismo cooperativo e solidale», che unisca e non divida. «Non ha senso - avverte - rimuovere i problemi di un nuovo sviluppo del Mezzogiorno o cancellare l’espressione “questione meridionale” come esempio di vecchia retorica e coltivare la nuova retorica della “questione settentrionale”». Il Sud arranca, le cifre sono negative. «Preoccupano i dati del Rapporto Svimez 2006 da cui risulta il recente regresso. I giudizi sulla validità ed efficacia degli approcci seguiti e dei tentativi portati avanti nel corso dell’ultimo decennio possono variare. Ma il fatto che non abbiano prodotto risultati durevoli, innescando una struttura inversione di tendenza, non può giustificare forme di scetticismo rinunciatario».
Sarebbe, conclude, «una fuga di responsabilità».

Quello di cui invece il Mezzogiorno ha bisogno è «investimenti accompagnati da fiscalità di vantaggio e un nuovo sistema di trasporti e di infrastrutture». Sarebbe, di fronte alla sfida globale, un vantaggio «per tutta l’Italia». E infine, «occorre lavoro».

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