Napolitano: «Spero di avere la forza necessaria»

Ha seguito lo spoglio dallo studio di Palazzo Giustiniani con l’amico Cervetti. La prima telefonata è stata di Ciampi, poi il neo presidente ha chiamato la moglie: «A quanto pare, sembra fatta...»

Roberto Scafuri

da Roma

Una manciata di minuti alle 13, una manciata di voti ai 505. Il televisore al secondo piano di Palazzo Giustiniani rilancia nella rapida lettura del presidente Bertinotti i «Giorgio Napolitano», intervallati da qualche «G. Napolitano». I volti davanti alla scrivania del senatore a vita sono già rigati da lacrime di commozione. Gianni Cervetti tiene il conto su un foglio, un alto funzionario del Senato su un altro. Di tanto in tanto cade qualche commento sui voti: «Mi pare che ci sia il pieno dell’Unione...», osserva il senatore. Sorpreso dall’aver appreso qualche particolare della propria vita dai giornali: «Mah, questa storia delle poesie mi giunge proprio nuova...».
Come nelle attese più importanti, l’attimo decisivo li contiene tutti. Scatta l’applauso dell’aula di Montecitorio, scatta l’abbraccio tra il nuovo presidente della Repubblica e gli stretti collaboratori, lui riesce pure a scherzare, in quella commozione che per un parte-nopeo e parte-inglese è quasi vietata, «Fuori dalla stanza i piangenti, per favore». Entra invece la segretaria Elvira, anch’essa con lucciconi che appannano momenti di confusione: «Presidente, c’è il Presidente al telefono...». È Carlo Azeglio Ciampi a spaccare il secondo per le congratulazioni. Di cuore: «Farai benissimo...». Segue la chiamata di Piero Fassino: «Ce l’abbiamo fatta». Pioveranno decine di telefonate, molte da Bruxelles e dalle capitali estere, persino una valanga di sms che il presidente legge mentre lo scrutinio si avvia a conclusione. E soltanto allora Giorgio Napolitano chiede di telefonare alla moglie Clio, che segue da casa. Finezza scaramantica che soltanto i napoletani possono cogliere. «Allora pare proprio che sia fatta...», ironizza il presidente, ed è chiaro che parla la parte-inglese.
Quella napoletana, privatissima, è reduce da un sonno profondo, ma troppo breve. Il vicolo dei Serpenti, alla sommità del rione Monti, dalle 7 del mattino si è già trasformato in un set cinematografico. Cronisti e cameramen interrogano le finestre della palazzina rosa dove abitano i Napolitano. Alle 9 sbuca l’autoblù, pochi minuti e lui esce in completo grigio scuro, camicia celeste, cravatta in tinta. Very british, come sempre: «Ho domandato se ci fosse una botola per evitare i giornalisti, mi hanno detto di no...», scherza nel giorno più importante della sua vita. Anzi. «No, non il più importante, ce ne sono stati altri più privati». Aggiunge di non aver immaginato di poter diventare presidente, e di aspirare a essere «super partes, altrimenti non avrei accettato» (d’altronde farà massima attenzione, davanti alla tivù, agli applausi arrivati dai settori del centrodestra).
Sosta alla Camera per il voto, stringe mani, abbraccia la vedova D’Antona, va a seguire lo spoglio a Palazzo Giustiniani, come da prassi. Lì lo attendono amici napoletani e compagni di partito, che rinnovano la tradizione «migliorista»: Andrea Geremicca con il figlio Federico, Cervetti giunto da Milano, Ciro Accetta e Alberto Irace, Alfredo Mazzei e Carlo Guelfi, Pasquale Cascella e Peppino Mennella. Solo in quattro si ritirano nello studio del senatore a vita. Si trepida fino alla proclamazione, poi i presidenti di Camera e Senato arrivano per l’investitura ufficiale. Breve saluto privato, caloroso abbraccio con Bertinotti, emozionato come il presidente. «Spero di avere le energie necessarie», sussurra il presidente. Si passa nell’attigua sala Zuccari, dov’è stato deciso per la prima volta di trasformare la procedura in photo-opportunity. Davanti a cronisti e fotografi Bertinotti riferisce a Napolitano l’esito del voto, formula gli auguri di «buon lavoro nell’interesse del Paese», legge il processo verbale della seduta. Il Capo dello Stato stringe le mani di entrambi, «ringrazio voi tutti», un piglio garibaldino lo porta a scendere dalla pedana. Nella sala accanto c’è un brindisi con gli amici che hanno trepidato, ai quali nel frattempo si è aggiunto Fassino. Spumante Ferrari e tartine, la riunione termina in una mezz’oretta. Poco dopo, il presidente si esercita con il primo piccolo bagno di folla. Molti applausi, qualche grido di gioia. Napolitano è sobrietà in cammino, i commessi vorrebbero approfittarne per sottrarlo ai cronisti, ma la vista di Gabriella Pistone, ex compagna e deputata del Pci, fa deviare la traiettoria del corteo. Gli stringe calorosamente la mano, mentre la folla ondeggia e mette alla prova polizia e commessi. Arriva finalmente la Lancia blu. «Emozionato, presidente?», «Dica lei...», la risposta.
Il nuovo Capo dello Stato torna a casa, lo attendono moglie, i due figli, i nipoti. In vicolo dei Serpenti la folla non demorde, gli abitanti del rione si sono aggiunti ai giornalisti. Fiori, scatole di cioccolatini e cassette di spumante si ammassano nell’atrio del palazzetto rosa. Sono presi d’assalto i negozianti del vicolo, come il parrucchiere Mirko Trotto o il barbiere Domenico Lo Torto. Ognuno ha una piccolo aneddoto di cortesia della famiglia Napolitano da raccontare: i coniugi sono amati dalla gente, e d’altronde a loro piacerebbe restare lì, nel rione che li ha protetti in tutti questi anni, se soltanto i problemi di sicurezza lo consentissero. Alle 16 arriva per le congratulazioni anche Massimo D’Alema, e il caffè vuole prepararglielo personalmente la first lady.

Poco dopo le 20 un salto in auto al Quirinale (che dista nemmeno 300 metri), per il saluto a Ciampi. Poi ancora a casa con la famiglia, in fondo non c’è nulla di speciale. Le emozioni? Tra partenopei si può dire: più preziose sono, più vanno tenute rigidamente sotto chiave.

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