Il "comunista preferito" di Kissinger: Giorgio Napolitano e il rapporto con gli Usa

Giorgio Napolitano è stato fra gli italiani più amati d'America: dal tour accademico del 1978 nel bel mezzo della Guerra Fredda, fino alla presidenza di Barack Obama, passando per l'amicizia con Henry Kissinger.

Il "comunista preferito" di Kissinger: Giorgio Napolitano e il rapporto con gli Usa

Giorgio Napolitano è stato il primo dirigente del Pci ad essere invitato negli Stati Uniti d'America: l'occasione fu quella di una serie di "lezioni americane" nelle più prestigiose università dell'Ivy League, rimaste nella storia di quel 1978 così pieno di significati sia per Washington che per Roma.

Napolitano e le amministrazioni Bush e Obama

Un rapporto che si sarebbe consolidato nel tempo e con conseguenze importanti nel dialogo tra Stati Uniti e Italia, soprattutto con le amministrazioni Bush e Obama, "coetanee" del doppio mandato di Napolitano. Durante la prima, i due Capi di Stato si sono incontrati due volte nel 2007: a giugno Bush si recò a Roma e nel dicembre dello stesso anno Napolitano ricambiò la visita recandosi a Washington. L'anno successivo, Bush ritornò al Quirinale per la sua ultima visita da Presidente degli Stati Uniti d'America. Ben tre incontri di alto livello con George W. Bush Jr. sul tramonto del suo mandato, che confermarono Napolitano come "forza stabilizzatrice del governo e del sistema", come sostenne l'ex ambasciatore Usa in Italia Ronald Spogli.

Ma la relazione speciale con la Casa Bianca si consolidò soprattutto con Barack Obama, incontrato ben sette volte, con il quale ex Presidente della Repubblica mostrò di avere una sintonia profonda su molte delle questioni di politica internazionale. Il Presidente Usa è stato ricevuto al Quirinale nel 2009 e nel marzo 2013. Napolitano è stato ospite alla Casa Bianca nel 2010 e nel 2013. Alle visite di Stato si affiancano gli incontri a L'Aquila, dopo il terremoto, nel luglio 2009 per il G8, a Varsavia, nel 2011, per il summit dei Capi di Stato dell'Europa centrale al quale ha preso parte anche il Presidente americano, e in Normandia nel giugno del 2014 per le celebrazioni del settantesimo anniversario dello sbarco alleato. In più di un'occasione i due Presidenti hanno avuto conversazioni telefoniche per discutere di temi politici ed economici, soprattutto nel bel mezzo della crisi economica che dagli Usa si abbattè sull'Europa come un nuovo 1929. Un'intesa che ha dimostrato ancora una volta la considerazione e il rispetto che l'altra sponda dell'Atlantico ha avuto per l' "amico Giorgio" e per il suo "mandato storico", come ebbe a definirlo proprio Obama che non dimenticò di elogiarne i suoi rilevanti contributi offerti "a vantaggio non solo della sua Nazione, ma anche dell'Europa e della comunità transatlantica".

Quando Washington negò il visto a Napolitano

Eppure c'era stato un tempo, qualche anno prima di quel fatidico 1978, in cui Giorgio Napolitano si era visto rifiutare il visto di ingresso negli Stati Uniti "per evitare di dare un attestato di rispettabilità al Pci". Fu la svolta verso la socialdemocrazia europea, o per lo meno quella che da Washington venne percepita come tale, che rese l'America post maccartismo più indulgente verso i grandi dirigenti di sinistra d'Oltreoceano: il grande politologo Joseph LaPalombara pensò che i tempi fosse maturi per un invito che giungeva direttamente dal tempio di Yale e cofirmato da alti papaveri di Princeton e Harvard. Una proposta che nel lontano 1975, però, non bastò a convincere il lapidario Henry Kissinger che giudicò i tempi poco maturi per dare uno scossone allo Smith Act.

Quel visto tanto vituperato sarà poi concesso, per paradosso, proprio nel bel mezzo della tregenda vissuta dall'Italia alle prese con le Br e il rapimento Moro. Ebbe inizio un lavorìo certosino, da ambe le sponde dell'Atlantico, da parte di chi voleva quel "comunista differente" in America per raccontare le evoluzioni della socialdemocrazia europea, e di numerosi esponenti della politica italiana (come Giulio Andreotti) che si diedero da fare perchè quel visto giungesse a destinazione. Nonostante la Guerra Fredda fosse nel bel mezzo di mutamenti importanti (Helsinki, il Salt...era già tutto accaduto), l'amministrazione Carter aveva ammorbidito la red scare in fatto di concessione dei visti, tanto da concedere al futuro "amico Giorgio" il permesso di sbarcare negli Stati Uniti. Un fascino magnetico incantò gli studenti di Harvard, Princetone e Yale, gli atenei che lo avevano voluto a tutti i costi. Grandi lezioni di economia e politica internazionali, tutte in un inglese più che fluente.

Napolitano, il "comunista preferito" di Kissinger

Ma è col vecchio saggio Henry Kissinger che, inaspettatamente, Napolitano avrebbe costruito un'intesa più che cordiale: un profondo rispetto reciproco, tra studiosi d'alto livello ancor prima che menti prestate alla politica, e su scranni così distanti come i loro negli anni Settanta.

Quando si incontrarono per la prima volta, due uomini così sfaccetati e intelligenti oltre misura, stabilirono una connessione sincera tanto da far ammettere al granitico ex Segretario di Stato Usa che egli sarebbe stato sempre "il suo comunista preferito": Napolitano gli restituì la battuta, sornione, definendosi "former communist!". Così, molti anni dopo, nel 2015, quando all'ex presidente della Repubblica venne conferito il premio Kissinger in quel di Berlino, l' "amico Henry" gli scrisse una calorosa mail nella quale gli dava appuntamento nella capitale tedesca per conferirgli di persona il riconoscimento che porta ancora il suo nome.

Non si vedevano da "soli" due anni, da quando Kissinger lo aveva incontrato per un lungo faccia a faccia presso il Waldorf Astoria di New York. Da quell'intesa nacque buona parte di quel credito che l'Italia si è guadagnata nei rapporti Usa, passando da cobelligerante "col cappello in mano", a interlocutore di alto livello sebbene sotto l'ombrello atlantico.

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